Val Susa come pesci nell’acqua.

Una lettera aperta dalla Val Susa, un grido di dolore per lo sfregio imposto a una delle più belle valli del Piemonte a causa dello sterco del demonio.

di Gabriella Tittonel.

Effimere parole. Che da venticinque anni turbinano intorno alla questione del Tav in Val Susa. Parole per sponsorizzare le magnifiche qualità e prospettive dell’opera in questione, sul palco di una commedia nata per arricchire qualcuno a scapito dell’intera società che ha ben altri traguardi di quelli dell’alta velocità a tutti i costi.

Parole che in questi anni hanno narrato, attraverso le pagine dei giornali, episodi epici, lontani dalla realtà e dalle ragioni vere di un dissenso mai sopito, racconti vissuti in quel ciberspazio che non sa più distinguere il mondo del reale da quello dell’immaginario.

E parole che sono diventate condanne pesanti nei tanti appuntamenti scadenzati nelle aule dei tribunali.

Parole oggi che parlano ufficialmente di aria salubre, cantiere ideale, acque limpide, dissenso sopito… ma parole di un angolo valsusino così ben sorvegliato da richiedere alti muri di reti e fili spinati e centinaia di occhi ed orecchie tecnici ed insultanti…

Ma la realtà, per chi frequenta quotidianamente quel territorio da ben quattro anni consegnato ai poteri antidemocratici, è tutt’altra cosa.

Da quasi tre anni intanto questo è divenuto il regno delle infinitesimali polveri, con le quali si possono fare scommesse, come per le più impalpabili della radioattività, polveri innocenti per alcuni ( i promotori della grande opera ) ma maligne. E rese senza patria, senza onore e senza nome da sondaggi mai avvenuti o deliberatamente ed accuratamente tenuti sotto chiave.

Polveri che oggi salgono dalla bocca della galleria miste al vapore, polveri dei tanti camion che salgono e scendono lungo le pendici della nuova e misteriosa collina dove la galleria vomita le sue viscere di pietra. E polveri che si cerca di tenere a bada con abbondanti lavaggi dei mezzi, del terreno, salvo poi ritrovarle, invisibili, nuovamente nell’aria, appena asciugate.

Da anni queste piccole creature di pietra salgono dalla piana del cantiere, si conquistano la striscia dell’autostrada e poi s’allargano su tutta la valle, iniziando quel percorso senza fine avanti ed indietro… le polveri sono ovunque ormai, con buona pace di chi giura sull’aria salubre in un territorio che già ha sopportato e sopporta altri “doni”.

Aria. Ma anche acqua. Perché anch’essa sopporta il lavorio della grande opera, raccogliendo quanto dal cantiere, a valle, fuoriesce…. Pesci morti ce ne sono stati, fanghiglia se ne vede, schiume…… Intorno il bosco dà segni di sofferenza… segnali…..

Tutto ciò ricordando che quanto sta avvenendo in Clarea è lo scavo di un tunnel geognostico, ossia di un tunnel che dovrebbe dare precise ed immediate informazioni su quanto contiene la montagna, sull’impatto che questo può arrecare all’ambiente. Indicazioni irrinunciabili per decidere se fare o no la grandiosa, inutile e dispendiosa opera. Di tutto ciò nulla sta avvenendo, preferendo far diventare la questione una guerra fra persone, con i lavoratori che lamentano di essere presi a sassate ed insulti dai fautori del dissenso e questo proprio mentre le vere pietre se le sistemano personalmente all’interno del corpo. Con le forze dell’ordine in assetto di guerra, brutta cosa questa, guerra fra umani, così simile alle tante che in questi anni avvengono sulle piazze, ai confini, seguendo ordini perentori che vengono dall’alto ( o dal basso…. ). Guerre, insomma, volute per far dimenticare la questione vera, quella di un territorio di fatto condannato a morire. Per l’inquinamento. Che allontanerà quel prezioso e tanto ricercato turismo, ma che anche vanificherà i tanti sovrumani sforzi volti ad un’agricoltura rispettosa e sostenibile. Non è cosa nuova questa. Basti pensare a quanto si va scoprendo nelle terre dei fuochi in questi giorni. O quanto continua ad avvenire all’Ilva di Taranto. O alle parole di una inascoltata giornalista al tempo del Vajont. Parole derise da quei poteri forti, parole sepolte, parole divenute vite stroncate brutalmente.

Parole che anche oggi vengono messe al muro attraverso altre che compaiono, compiacenti, sui giornali, parole rassicuranti, come quelle di chi assiste il moribondo e gli parla di una passeggera influenza.

La realtà, invece, che piaccia o no, è un’altra. In questa valle d’aria, dove tutti noi ci muoviamo come tanti pesci nell’acqua, nulla, di quanto viene a farne parte, scompare. Stiamo segnando il futuro, soprattutto quello dei nostri figli che diciamo di amare così teneramente.

Un futuro che noi stiamo costruendo e verso il quale, senza possibilità di equivoci, ci interroga l’enciclica di Papa Francesco. Una lettera la sua fatta anche per questa martoriata terra valsusina che ha bisogno di ritrovare coraggio, consapevolezza e forza. Tutto ciò se saprà rinunciare alle lusinghe delle tante sirene di passaggio. Abbandonando l’osso spolpato delle compensazioni promesse, novelli trenta denari di una storia ben nota di duemila anni fa. Compensazioni che hanno, come sempre e più di prima, un prezzo intollerabile. Il prezzo del tradimento dell’uomo.

(G.T. 19.06.15 – Valsusina)