Una piazza senza controllo, una grande adesione dei commercianti allo sciopero dei Comitati 9 Dicembre (Forconi?), l’incontro di tante identità. Una giornata tutta strana, difficile da leggere, che i media semplificano troppo.
Torino, 9.12.2013. Quanti si sono chiesti più volte, di fronte alla deriva morale della classe politica e ai guasti della quotidianità, quando questi italiani bastonati da tasse, tv e crisi economica si sarebbero incazzati. Ebbene, stavolta è successo. Quella di oggi è stata una giornata di protesta totalmente atipica che i sociologi dei movimenti sapranno meglio analizzare. Nell’osservatore restano sensazioni difficili da tradurre in immagini convenzionali. Tutto era stato preceduto da comunicati disomogenei, da immagini di raduni dominati da tribuni sconosciuti che annunciavano la fine della pazienza del “popolo”, l’inizio di una lotta di lunga durata per sloggiare tutti gli odiati politici, qualcuno ha scritto “per sostituirli con un governo presieduto da un poliziotto“; basta con le tasse ma non una parola sui bisogni dei lavoratori dipendenti o i precari. C’erano minacciose previsioni di presenza di gente di estrema destra, corroborate da dichiarazioni dell’ex fascista Marrone, consigliere in Comune; tutto era ambiguo, poco chiaro per chi pretende sempre chiarezza. A sinistra c’era allarme, cosi come c’era diffidenza nei movimenti che hanno scelto il ruolo di osservatori. Il fatto è che quando arriva il 14 Luglio è difficile cavalcarlo e trattenere una folla che si sente libera di sfogarsi. Anche per la destra. Cosi, in una cornice di chiusura generalizzata dei negozi, nelle strade di Torino si è riversata di buon ora una marea multiforme che, dopo aver attuato dei blocchi si è diretta in centro per attaccare i simboli dello Stato sanguisuga: Agenzia delle Entrate, Equitalia, Inps. Dopo aver assaggiato un po’ di Cs in via Arsenale, come annunciato tutti in piazza Castello davanti al Palazzo della Regione. Qualche migliaio di persone, irriconoscibili da chi è abituato a verificare le identità politiche della piazza, mercatali, commercianti in Moncler, studenti, piccola borghesia, sottoproletariato da stadio, di barriera, giovani e meno giovani, tamarri in felpa (abbiamo parlato con un disoccupato, una commessa, un precario di fast food), hanno investito la casa di Cota e il sottostante reparto di polizia, con una forza imprevedibile. Avrebbero potuto entrare se avessero fatto un ulteriore sforzo ma hanno preferito attaccare gli agenti, simbolo della violenza di una società che li schiaccia, di una casta politica che li prende in giro e ruba i soldi persino per comprarsi i boxer. Alle 12,30 arriva una colonna di blindati dei Carabinieri, si fermano all’imbocco di via Roma. Dagli sportelli partono lacrimogeni ad altezza d’uomo e la truppa si schiera ma non carica. La folla prima indietreggia poi si ricompatta e riparte in avanti rilanciando i lacrimogeni proprio in mezzo ai Carabinieri che arretrano, si rifugiano dentro un cantiere. La gente tutto intorno li insulta. Quelli ripiegano davanti al Palazzo della Regione e si attestano a difesa.
Un dirigente della Digos ci dirà poi che in quella piazza c’era l’estrema destra, ultras da stadio ma anche Askatasuna e qualche centro sociale (ma solo alcuni dell’Aska erano presenti come osservatori e non hanno avuto alcun ruolo attivo). Petardi e pietre che hanno avuto per risposta decine di lacrimogeni ma stranamente niente cariche. Lo stesso dirigente di piazza ci spiegherà che erano troppo pochi gli agenti davanti alla Regione ma tutto in questa giornata è sembrato strano. Strana quella folla cosi composita, strano il comportamento della polizia che, benchè consapevole da giorni di quanto stava per accadere, ha reagito blandamente alla pioggia di pietre, anche quando sono arrivati i rinforzi. Una Questura distratta dalla conferenza stampa in sede che descriveva l’operazione antelucana contro i No Tav (che evidentemente hanno sempre la precedenza)? Difficile da credere. Strana l’atmosfera nella piazza dove la folla si rivelava tosta perchè arretrava ordinatamente davanti ai lacrimogeni, si ricompattava e tornava avanti, dove alcuni personaggi con i megafoni arringavano i presenti (da un furgone si esortava ad applaudire la polizia), dove si gridava verso il Palazzo: Tutti a Casa! Ladri! Cota figlio di puttana! poi si cantava l’Inno di Mameli con qualche sventolio di rari tricolore, poi ancora Italia, Italia!; tante braccia levate, qualche saluto romano; dove un reparto di celerini, pur a contatto con la folla, si toglie il casco e si scambia pacche sulle spalle (la Questura smentirà in un comunicato l’episodio ma i testimoni sono tanti e l’applauso fragoroso); dove un reporter del TG Vallesusa viene fermato dai dimostranti perchè visto filmare ma quando si identifica come valsusino viene congratulato. Qui, niente sindacati a frenare, a ingabbiare, come a Genova. Non è posto per loro.
Qualcuno, diffidente, prevedeva che le differenze si sarebbero viste nel pomeriggio davanti al Municipio dove doveva affluire un corteo di migranti con la richiesta di residenza: l’anima di destra sarebbe venuta allo scoperto. E invece accade che i migranti vengano applauditi anche da quel terzo della piazza che non appartiene ai centri sociali e che poi si distacca per andare a fare altri blocchi. Ma prima, tutti insieme insultano Fassino. I ragazzini che ingorgano corso Regina al Rondò della Forca potrebbero essere chiunque, diffcile classificarli. Dicono agli automobilisti che protestano: C’è sciopero! Per una volta fermati anche tu!, senza insulti o prepotenza, solo adrenalina. E i fascisti? Il consigliere Marrone si è visto al mattino in piazza Derna tra i manifestanti che si aggregavano, poi l’hanno visto sul balcone del Municipio a sbandierare un tricolore. Qualche gruppo sospetto, per estetica, era in piazza ma altro non si è visto o sentito se non quanto detto sopra. Rimane incerta l’identità degli organizzatori.
Come tradurre tutto questo in analisi politica? Per ora si ripropone solo la magia della piazza, punto di incontro di rabbie, di moltitudini che rivendicano diritti negati, dimensione di esperienza completa che venne definita “felicità pubblica”. Da troppi anni la sola piazza eversiva qui in Piemonte è stata la Val Susa; oggi, una Torino sottomessa alla sinistra dei salotti per tanti anni si è fatta avanti a sfogare una rabbia a lungo repressa, come nei giorni di inizio della fine dei regimi peggiori. Lascia dietro di sè sconcerto, perplessità, timori diffusi per i giorni a venire, e un arrestato, Alessio Mirotta, di Avigliana. Di nuovo, sempre la Val Susa…(F.S.)