
di Barbara Debernardi
Il rapporto tra le diverse componenti dello Stato sulla questione Tav in Valle di Susa si è rivelato in questo lungo quarto di secolo (perché da tanto dura la battaglia civile contro quest’opera) estremamente complesso e conflittuale. Sul tema infatti i diversi livelli amministrativi e politici che compongono la stessa struttura dello Stato italiano non solo si sono trovati quasi regolarmente su fronti opposti, ma i rappresentanti eletti più vicini ai cittadini (Sindaci, Assessori, Consiglieri) hanno spesso visto calpestati ruoli istituzionali e diritti sanciti dalla Costituzione da altre componenti del medesimo Stato (Provincia, Regione, Questura, Prefettura, Governo…)
Gli esempi della arroganza, della sordità, della inaffidabilità e qualche volta anche della violenza di tali componenti sono purtroppo dato ben noto in questo territorio che qualcuno avrebbe arbitrariamente

deciso di far diventare mero “corridoio di transito”. Ci sarà modo, nelle prossime settimane, di andare a fondo su tanti di questi esempi. Oggi il mio compito si limita a introdurre il tema del mancato ascolto degli Amministratori locali. E già sarebbe grave registrare un mancato ascolto. Se non ci fosse di peggio.
Per raccontare questo “peggio”, dato il minimo tempo a disposizione, utilizzerò due soli esempi, che hanno due date precise:
31 ottobre 2005
28 giugno 2008
Per permettere a tutti di capire un contesto che ai valsusini è purtroppo assolutamente chiaro, occorre fare una premessa: fin dalla primavera del 2005, quando ormai si parla di Tav da almeno 15 anni, il Governo tenta di realizzare in Valle una serie di sondaggi geognostici finalizzati alla progettazione dell’opera. Sondaggi da effettuare su terreni privati, che quindi vanno, almeno temporaneamente, espropriati. La normativa in materia precisa che la data dell’esproprio deve essere comunicata preventivamente ai proprietari, che i medesimi possono farsi rappresentare da tecnici o delegati di fiducia e che le operazioni possono avvenire solo in orario diurno, dall’alba al tramonto. Potremmo dire, utilizzando una metafora: “alla luce del sole”.
E veniamo quindi all’alba di quel 31 ottobre.
Alle 6 del mattino, “armata” di delega scritta di uno dei proprietari e della fascia tricolore, mi dirigo verso la località prevista per l’esproprio: un prato di mezza montagna, sopra i Comuni di Susa e Mampantero. Ma poco dopo il centro di Susa la strada comunale è chiusa da un imponente posto di blocco. A fatica raggiungo il cordone di sbarramento delle Forze dell’Ordine e provo, insieme ad altri

colleghi Sindaci, a capire quale sia il problema, facendo valere quelle che ritengo le mie buone motivazioni: la delega del proprietario e la delega degli oltre 1700 cittadini che mi hanno eletta. Ma per la prima volta nella nostra storia di movimento sono costretta a sperimentare l’opposizione dello Stato allo Stato. Il graduato, responsabile del blocco infatti, strattonandomi la fascia tricolore mi dice: “lei oggi con questa non rappresenta proprio nessuno.”
Il primo strappo è compiuto, ma nessuno fra gli Amministratori probabilmente in quel momento è preparato a coglierne pienamente la portata. E anziché fermarci a discutere su chi in quel momento rappresentasse chi, decidiamo di raggiungere un ponte in mezzo al bosco, passando per vigne e mulattiere, intenzionati a impedire il passaggio di quei tecnici di una società privata che per realizzare un’opera pubblica necessitano di un intervento di polizia. Abbiamo trascorso la giornata su quel ponte. Amministratori e cittadini da una parte, Forze dell’Ordine dall’altro. Fasce tricolori e mani alzate contro scudi e manganelli.
Basterebbe questo in un vero Stato di diritto a far gridare allo scandalo. Ma la giornata cominciata male riuscì a finire peggio. Calato ormai il sole, appurato che a norma di legge l’esproprio non poteva più aver luogo, i Sindaci ottengono garanzia da parte di Questore e Prefetto che sarebbe stata definita una nuova data. Le Forze dell’Ordine si ritirano e noi, ormai a notte, scendiamo a Valle, ancora

convinti che lo Stato non può mentire ai suoi rappresentanti. Ci sbagliavamo. Nella notte, scortati militarmente tornano i tecnici, requisiscono i terreni, viene vietata la libera circolazione e il rispetto fra Istituzioni è scandalosamente calpestato.
E veniamo all’altra data, di tre anni più tarda. E anche in questo caso occorre per i non valsusini definire il contesto. Dopo la militarizzazione del 2005, gli sgomberi violenti del Presidi, le donne e gli anziani mandati all’ospedale con nasi, gambe e teste rotte, la tensione sociale altissima, il Governo capisce che è necessario inventarsi una via di fuga. Si decide quindi finalmente di “ascoltare” (e le virgolette sono purtroppo d’obbligo) il territorio, creando uno spazio di confronto “trasparente”, guidato da un soggetto “super partes”. Questo spazio si chiama Osservatorio. E alla sua guida viene posto l’architetto Mario Virano.
Dopo 70 riunioni, 300 audizioni di tecnici ed esperti e nessuna delibera nei Consigli comunali del territorio interessato, si arriva così al 28 giugno 2008, quando il Presidente dell’Osservatorio convoca una riunione conclusiva a Pra Catinat. Quel pomeriggio ricevo una telefonata da parte di un giornalista di una testata nazionale, che mi chiede una dichiarazione sulla mia firma all’Accordo di Pra Catinat. Cado dalle nuvole. Anche perché mi trovo a 1000 Km di distanza, in Puglia, nell’unica mia settimana di ferie dell’anno. Ovviamente non ho firmato nulla, né ho delegato qualcuno a farlo al posto mio. Telefono velocemente ad alcuni colleghi: anche loro non sono andati a Para Catinat e anche loro non hanno firmato alcun Accordo.
Eppure questo è il tenore dei titoli dei giornali del 29 giugno: “Raggiunto l’accordo. Siglata l’intesa sindaci-governo sul tracciato della linea” (Così il Corriere della Sera).
Seppur in vacanza scrivo una smentita, che viene pubblicata solo dai

giornali locali. Scrivo anche all’architetto Virano, per chiedere conto di questa millantata firma. Poi torno in Comune e in Consiglio delibero la NON adesione all’Accordo di Pra Catinat. A oggi, e sono passati 7 anni, non ho ancora ricevuto risposta dal Presidente Virano, non c’è stata presa d’atto di quella contrarietà, e anzi, per tutto questo tempo proprio quell’Accordo, falso, è stato usato per richiedere finanziamenti in sede europea e per raccontare l’ascolto degli Amministratori locali, la concertazione e la condivisione del nuovo progetto.
Chiudo quindi con una domanda, alla quale purtroppo ho già dato risposta: cosa c’è di peggio di uno Stato che non ascolta i cittadini e i loro rappresentanti liberamente e democraticamente eletti?
Di peggio c’è uno Stato che mente. Che mente in casa propria e fuori, servendosi di firme mai poste, di accordi mai siglati e di Media compiacenti, che anziché cercare la verità si limitano a far da cassa di risonanza a una menzogna. Quasi che una falsità, più volte ripetuta, possa diventare vera. Si è spesso sentito parlare in questi anni della violenza del Movimento No Tav. Chiediamoci, ancora una volta, chi siano in questa storia davvero i “violenti”.
B.D. 14.3.15