di Luca Mercalli (per il Fatto quotidiano)
La prova del Mose doveva essere fatta contro l’imponente acqua alta del 12 novembre e giorni successivi, ma “la Ferrari senza freni” come è stata definita non si poteva nemmeno mettere in moto.
Una grande opera di cui in questi giorni si è detto di tutto, ammettendo che non è tecnicamente adatta alle sfide poste dall’aumento del livello dei mari generato dal riscaldamento globale (potenzialmente superiore a 80 cm a fine secolo), e che presenta soluzioni costruttive critiche che richiederanno decine di milioni all’anno di costi di manutenzione.
PERÒ IL RITORNELLO di tutti è stato: ormai è quasi finita, paghiamo quel che c’è da pagare e mettiamola in esercizio. Anche se non funzionerà come dovrebbe. Una vicenda che sembra una sfera di cristallo per immaginare cosa potrebbe accadere al Tav in Val di Susa tra una ventina d’anni.
Anche il Mose prima della sua realizzazione fu infatti fortemente osteggiato sul piano tecnico-scientifico da molti autorevoli esperti del settore che proposero progetti alternativi ovviamente mai considerati.
Oggi non resta che lo sconsolato “l’avevamo detto”, ma i 5,5 miliardi ormai gli italiani li hanno sborsati, mazzette incluse. Se si legge il circostanziato volume “Il MOSE salverà Venezia?” degli ingegneri Vincenzo Di Tella, Gaetano Sebastiani e Paolo Vielmo si ha una frustrante narrazione di tutte le proposte tecniche ignorate, lo studio commissionato nel 2008 dal Comune di Venezia allora retto da Cacciari alla società di ingegneria francese Principia che mostrava le debolezze strutturali, ignorato da governi che diventano decisionisti solo in questi casi, e il meschino processo per diffamazione che gli Autori subirono su denuncia del Consorzio Venezia Nuova, unico signore e padrone della laguna, contro il quale chiunque osava aprir bocca veniva ostracizzato e combattuto.
Alle sagge voci dei tre valorosi ingegneri aggiungiamo Luigi D’Alpaos, professore emerito del Dipartimento di idraulica dell’Università di Padova e quella ormai spentasi per sempre nel 2017 di Paolo Pirazzoli, brillante dirigente di ricerca del CNRS francese che ci ha lasciato il pamphlet “La misura dell’acqua. Come e perché varia il livello marino a Venezia” (2011).
Anche Pirazzoli fu querelato e poi fortunatamente assolto per aver combattuto il Mose a suon di equazioni! Ma che triste vicenda per un veneziano apprezzato all’estero e odiato dai poteri del gigantismo tecnologico annidatisi come mostri marini nel fango della laguna. Oggi possiamo dire che se quei docenti fossero stati ascoltati forse avremmo un dispositivo più efficace e meno costoso per mettere al sicuro Venezia.