Tav: l’offensiva politica

di Massimo Bonato

Il 20 novembre, il movimento No Tav invade Roma.
Si tiene infatti nella capitale il vertice Italia-Francia, in cui il premier Enrico Letta incontra il presidente francese François Hollande, il primo ministro Jean-Marc Ayrault e altri undici ministri. Sul tavolo le questioni economiche: l’Italia è infatti il secondo cliente della Francia e la Francia il secondo fornitore della penisola (l’Italia è il quarto importatore di prodotti agroalimentari francesi ed è uno dei mercati privilegiati per le automobili francesi e per i prodotti metallurgici). Ma si parlerà anche di occupazione, di Europa, in termini di coordinamento delle polizie, per riannodare il filo di un discorso tra Francia e Italia iniziato dai rispettivi capi di Polizia il 5 novembre scorso a Parigi.

Si arrivò allora a definire la necessità di rafforzare i controlli di frontiera con pattuglie miste, maggiori controlli sui treni, operazioni ad Alto Impatto, attività di indagine congiunta sulle reti che favoriscono l’immigrazione “clandestina”, ma anche l’intensificazione degli scambi di informazione in tema di terrorismo, al quale veniva associata la ”gravità della radicalizzazione del movimento di opposizione italiano alla realizzazione della linea ad alta velocità Torino-Lione”.
In realtà il tema caldo sarà proprio il Tav, per il quale, a scorrere le testate giornalistiche che oggi annunciano il vertice di domani, il movimento No Tav ancora appare come il babau terroristicamente dipinto dai media: il problema non è politico, economico, ambientale, sociale. Ancora una volta è “Allarme No Tav”.
Ma il problema “è” ormai eminentemente politico, se si è arrivati al vertice con una ratifica dell’Accordo 2012 monca di una delle due Camere. La ratifica è avvenuta alla Camera dei deputati ma manca l’approvazione del Senato, come denunciato dal M5S. Una corsa contro il tempo in cui Lupi ha fretta di “convincere i francesi a proseguire un’opera sulla quale hanno espresso concrete perplessità”. Colleghi d’oltr’Alpe che da parte loro non han mancato di rispondere alla chiamata. Ieri, 18 novembre, sessanta parlamentari francesi hanno infatti firmato un appello al presidente François Hollande e al presidente del Consiglio italiano Enrico Letta per fare tutto il possibile “affinché si lanci definitivamente e rapidamente il cantiere per la realizzazione del tunnel di base”.
Problema politico perché al vertice di Roma si formalizza delle due nazioni una volontà in termini di legge, necessaria all’Unione europea per iniziare a considerare la portata dei finanziamenti necessari all’opera (Hollande dichiarò il 3 dicembre 2013 proprio al vertice con Monti a Lione che la Francia sarebbe stata d’accordo se e soltanto se l’Europa avesse erogato fondi a sufficienza).
Politica perché, sebbene la comunicazione ufficiale faccia apparire il vertice di domani come il nulla osta all’inizio dei lavori del tunnel transfrontaliero, in realtà non si tratta che di una ulteriore ratifica di un accordo il cui articolo 1 recita: “[Il presente Accordo] non ha come oggetto di permettere l’avvio dei lavori definitivi della parte comune italo-francese, che richiederà l’approvazione di un protocollo addizionale separato, tenendo conto in particolare della partecipazione definitiva dell’Unione europea al progetto”.
Politica perché, pur di fare il tunnel di base propedeutico alla linea Torino-Lione, l’Italia non soltanto pagherà più della Francia (nonostante il minor tracciato di linea), ma subordinerà il proprio territorio, fino a Bussoleno alla legislazione francese in tema di condizioni di lavoro e di occupazione, di costruzione, esistenza, manutenzione, esercizio, sicurezza, come si legge all’articolo 10 dell’Accordo. Legislazione francese la cui normativa non prevede norme antimafia e che rappresenta una vera e propria cessione di sovranità nazionale.
Il movimento No Tav è quindi a Roma, assieme a molti altri movimenti, come quello per il diritto alla casa, al reddito, alla salute per chiedere che le risorse destinate a banche e a grandi opere siano destinate alle necessità sociali e ambientali del Paese. Per difendere in fin dei conti la democrazia stessa così ormai palesemente violata da forze politiche, che dimostrano sempre più di essere disposte a tutto pur di salvaguardare i propri interessi economici.

Massimo Bonato 19.11.13