
Lettera di Antonio Alei.
Ad assistere alle ultime “sceneggiate” post-elettorali cadono letteralmente le braccia. Con un Paese ridotto al lumicino, con una economia che stenta a riprendere, con una disoccupazione – soprattutto giovanile – che non trova sbocchi se non con l’ennesimo flusso migratorio verso l’estero, sentire i vari “leader” che concionano sui massimi sistemi, restando ciascuno ottusamente sulle proprie posizioni di presunto vincitore o perdente fa stringere il cuore e perdere le speranze per una parvenza di ripresa, anche dilazionata nel futuro.
L’inno di Mameli, a volte snobbato, a volte vituperato, ben poco usato nei canti corali nelle scuole, negli stadi e nelle solennità civili, ha un passo pregnante “Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”. Credo che Mameli e tutti quelli che hanno dato il sangue per un Paese che non li ha mai meritati si staranno girando nella tomba come trottole.
Qui più che stringerci a coorte, vale sempre il vecchio detto “Mors tua, vita mea” (la tua morte è la mia vita); per cui Salvini si vorrebbe sdoganare da Berlusconi ma non ha il coraggio di aprire verso i pentastellati, Renzi vorrebbe trascinare con sé nel baratro quel che resta del PD, Di Maio prova ad aprire un pur timido dialogo, ma gli fanno orecchie da mercante. E’ un coro di voci stonate.
Del resto basta vedere come i tedeschi abbiano risolto, seppur dopo cinque mesi, i loro problemi di “coesistenza pacifica”. Non hanno voltato la faccia dall’altra parte, come invece si fa di solito da queste parti e la Germania, per loro, è sempre “Uber Alles”.
Per noi, invece, l’Italia cos’è? “Uber Palles”?
Un po’ di amor patrio, ma poco poco, eh! Non ce l’ha più nessuno?