Susa, gli studenti incontrano Maria Falcone, sorella del magistrato

L'emozionante incontro con Maria Falcone a Susa. La sorella del magistrato ucciso dalla mafia ospite all'Itis Ferrari per parlare agli studenti di mafia e del ricordo del fratello Giovanni. Una lezione di storia delle pagine buie della nostra Repubblica.

di Davide Amerio.

L’Auditorium dell’istituto Ferrari di Susa è gremito: studenti, delle scuole superiori, delle medie, e persino delle elementari; autorità (sindaci e assessori); rappresentanti delle Forze dell’Ordine; presidi e docenti. A tutti la prof. Anna Giaccone ha rivolto un ringraziamento per la partecipazione e per il fattivo lavoro svolto nell’organizzare l’evento.

Incontriamo Maria Falcone, la sorella del magistrato Giovanni Falcone, ucciso barbaramente nell’attentato di Capaci il 23 maggio del 1992, in conferenza stampa. Le domandiamo di questo suo viaggio per il paese partendo dalla Sicilia, terra martoriata, e di quanto, dai tempi di Capaci è cambiata la situazione; quanta speranza c’è’ e perché si è fatta carico di questi incontri nelle scuole.

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“Vado dove mi chiamano” ha risposto Maria Falcone, perché incontrare i ragazzi è importante, la scuola è fondamentale per educare alla legalità. La mafia sarà sconfitta dalle maestre, amava dire mio fratello.

Mi dicono che sono ottimista, e se non lo fossi, non sarei qua. Se non credessi che il lavoro che faccio possa servire all’Italia, tutta, sicuramente non lo farei. Posso affermare con grande sicurezza che la società è cambiata. Stranamente trovo i giovani di oggi, a 24 anni dalla strage di Capaci, forse più attenti di quelli del ’93/’94. Bisogna ringraziare gli insegnati di tutta Italia che hanno contribuito a far crescere la memoria di Giovanni, di Paolo (Borsellino ndr), facendo crescere in loro la consapevolezza della lotta alla mafia, della partecipazione attiva e democratica; all’essere attenti a quelli che sono i problemi del paese. Una delle frasi di Kennedy preferite da Giovanni era “Non domandatevi cosa l’America può fare per voi, ma cosa voi potete fare per l’America”.
Faccio questi incontri – sottolinea, – per paura del silenzio, per timore che cada il silenzio su quelle vicende che sembrano così lontane ma sono attualissime.

Il suo ingresso nell’auditorium è accolto con uno scroscio di applausi; tutti in piedi a omaggiare questa professoressa che porta sulle spalle il peso del ricordo, le sofferenze delle perdite ma incontra i giovani per dare loro messaggi sul valore della giustizia e della democrazia.

I ragazzi nati dopo la barbarica uccisione di Falcone e Borsellino poco sanno di quelle storie, di quelle lotte contro la criminalità. Fu Giovanni Falcone a capire per primo i collegamenti delle famiglie mafiose, le relazioni, i rapporti di potere, in Italia e all’estero. Si recò in America per l’indagine nota come “Pizza Connection” e lì conobbe un altro magistrato con cui collaborò in quegli anni; tale Luois Freeh che diventò, qualche anno dopo, direttore dell’FBI.

Insieme condussero un’indagine (la prima a livello internazionale che collegava la mafia dalla Sicilia agli Stati Uniti) che consentì l’arresto di 32 persone e a una condanna a 45 anni di detenzione per il boss Gaetano Badalamenti.

A Quantico, dove risiede l’accademia per i nuovi agenti FBI, ci sono due busti. Il primo è dedicato al terzo presidente degli Stati Uniti d’America Thomas Jefferson, l’altro è per Giovanni Falcone. Il busto fu voluto, nel 1994, da Louis Freeh, per ricordare il magistrato “esempio di servitore dello Stato”.

Nel 2012, vent’anni dopo la strage di Capaci, Robert Mueller, allora direttore dell’FBI, introduceva la commemorazione del giudice in questo modo:

Good morning. It is my honor to be here today. It has been said that Judge Falcone was “the stuff of Sicilian legend.” He respectfully disagreed, saying, “I am not Robin Hood. I am simply a servant of the state in hostile territory.” Yet this simple “servant of the state” left a lasting legacy for global law enforcement.[…]

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Giovanni Falcone è stato il primo magistrato a organizzare la lotta alla mafia in modo coordinato, collegando crimini e delitti che sino a quel momento venivano trattati separatamente. “Pecunia olet”, diceva Falcone, bisogna seguire la pista dei soldi per combattere il fenomeno mafioso. Un lavoro difficile, esercitato con passione, prima come magistrato, poi al Ministero. Fu questo immane impegno che condusse il “Pool antimafia” alla costruzione del “maxi processo”: il più grande processo mai intentato contro la criminalità con il contributo di Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia.

Il Procuratore di Torino Paolo Borgna, ha tracciato la storia dell’attività di Falcone, dagli esordi in magistratura sino a quando fu chiamato da Rocco Chinnici (altro magistrato martire della mafia, ucciso nel 1983, ideatore del Pool Antimafia; dopo di lui Antonio Caponnetto assunse la guida del Pool) per indagare sui reati di mafia. Il Procuratore ha ricordato il grande contributo di Falcone nel strutturare le indagini in modo sistemico partendo dagli aspetti patrimoniali degli indagati.

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Dopo il grande successo del maxi processo, ci furono anche punti di arresto, delle polemiche; nel 1990 prende l’importante decisione di andare a lavorare nel Ministero per condurre la stessa battaglia che aveva condotto a Palermo. Borgna sottolinea come Falcone fu un modello di servitore dello stato prima ancora di diventare, suo malgrado, il giudice “famoso” per la lotta alla mafia. Era appassionato ma capiva i “limiti” del proprio lavoro operando una distinzione chiara tra morale e giustizia e tra questa e la politica. Ci ha insegnato che non tutto ciò che è riprovevole è reato, ha affermato. Nel 1990 i magistrati antimafia furono attaccati da un politico importante durante una trasmissione televisiva. Costui affermava che i giudici tenevano “certi” fascicoli nei cassetti; la risposta di Falcone fu molto chiara in quanto aveva compreso che non tutte le azioni dubbie e scorrette possono essere ricondotte a un reato. Rispose: “questo è un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario che noi (magistrati ndr) rifiutiamo. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità; è l’anticamera del Koimeinismo.”. Dimostrò che la lotta politica, magari anche giusta, non può essere condotta sulle spalle dei magistrati. La politica deve svolgere il suo ruolo e compiere una “pulizia” al proprio interno, prima che lo facciano i giudici, come sostenne chiaramente Paolo Borsellino in una intervista di quegli anni.

Sandro Plano ha ricordato che all’ingresso della valle, sulla parete del Musinè, appare vistosa la scritta “No Mafia” perché la valle ben conosce questi fatti e lotta contro di essi; mafia, camorra, ‘drangheta sono tra di noi, ha precisato il Sindaco di Susa.

Sono stati proiettati filmati e slide preparati dagli studenti per omaggiare e commemorare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Durante gli interventi dei relatori, alle loro spalle lo schermo gigante sovrastava con la foto dei due magistrati. Omaggi floreali, puzzle e quadri sono stati offerti dagli studenti alla prof. Maria Falcone in ricordo della giornata.

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Infine lei, l’ospite d’onore, la professoressa Maria Falcone, ha ricordato il fratello raccontando alcuni episodi della vita di Giovanni da bambino (per gli studenti più piccoli) e di come si innamorò della figura di Zorro. In lui già allora si manifestava il desiderio di proteggere i più deboli.

La sorella ha ribadito il timore del silenzio che potrebbe ricoprire il lavoro di molti che hanno dedicato la vita per il paese, per la giustizia. Un lavoro che a suo tempo non fu capito e in molti avversavano lo stesso magistrato. Misero in dubbio il suo senso dello Stato, qualcuno arrivò a chiamarlo lo “sceriffo”. Ora invece il maxi processo viene celebrato come il più grande processo penale mai realizzato al mondo. Allora Falcone fu accusato di “elefantiasi” processuale. Non comprendevano i collegamento dei fatti che Giovanni aveva messo in relazione creando la forza dell’impianto istruttorio. Tra le soddisfazioni maggiori della sorella, il ricordo di quando Louis Freeh, davanti al monumento dedicato a Falcone, a Quantico, disse che Giovanni “rappresenta la personificazione del senso dello Stato” e desiderava che gli allievi dell’FBI meditassero su questa figura.

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Giovanni Falcone lasciò un testamento morale, proprio negli ultimi giorni nei quali comprese che intorno a lui si stava chiudendo il cerchio della mafia: “io passerò, ma le mie idee devono continuare a camminare… sulle gambe di altri uomini”; la mafia sarebbe stata vinta non soltanto con la repressione, anche se questa doveva essere degna di uno stato di diritto. La mafia è un fatto sociale e per essere sconfitta è necessaria la mobilitazione di tutta la società civile perché mette in pericolo la democrazia e la libertà nel nostro paese.

A noi non resta che ringraziare per questa mattinata densa di emozione.

(D.A. 27.02.16)