
di SemiSerio
C’era una volta “Il Museo archeologico di Chiomonte che, inaugurato nel giugno 2004, documentava la Preistoria e la Protostoria del sito de “La Maddalena”. Documentava dal Neolitico recente (ultimo quarto del V millennio a.C.) alla seconda età del Ferro (IV secolo a.C.). Cultura e modalità di sussistenza dei primi abitanti di questa “terra tra le montagne” erano illustrati attraverso l’esposizione dei reperti rinvenuti nell’adiacente area archeologica. L’esposizione si articolava in ordine cronologico: i visitatori intraprendevano un percorso nella vita quotidiana di un insediamento alpino di 6000 anni fa attraverso i manufatti ceramici, litici, le tracce delle abitazioni e le tombe riferibili alla necropoli tardo-neolitica, per terminare al piano superiore con l’esposizione di una ricca sepoltura femminile della media età del Ferro. I materiali della collezione unitaria si riferivano a una comunità umana del tardo Neolitico (fine V-IV millennio a.C.), inquadrabile nell’area culturale dell’arco alpino occidentale definito dagli archeologi Chassey, dal nome della principale località nella quale è stata individuata e studiata questa cultura neolitica. I reperti erano emersi negli scavi archeologici condotti contestualmente ai lavori di costruzione dell’autostrada del Fréjus negli anni 1986-1992. Le campagne di scavo e numerose ricerche a carattere territoriale, condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, avevano consentito di indagare nel dettaglio il sito e i depositi archeologici. Le caratteristiche fondamentali di questo complesso archeologico risiedevano nella sua unitarietà e nello stretto collegamento con i siti d’Oltralpe” dal sito del museo.
C’era una volta perché ora non esiste più. Riportato in molti link, resi “immortali” dalla rete, come un importante sito archeologico meta di gite scolastiche ed escursioni turistiche. Oggi ridotto ad una sorta di fortino, è inserito nella difesa militare del cantiere TAV di Chiomonte, sede della Grande Opera Inutile e Imposta.
Non esiste più. Il museo, è svuotato dei reperti ed è stato occupato a mò di caserma per un lungo periodo. La retrostante area neolitica è stata calpestata e devastata resa inutilizzabile. I percorsi che evidenziavano l’antichissima antropizzazione del sito, tagliati dalle recinzioni con il filo spinato.
Ora cio che è diventato è sotto gli occhi di quanti abbiano la voglia di superare i check point, dove anche i proprietari, dei pregiati vitigni dal terreno fertile, sono sottoposti a controlli e registrazioni da parte delle forze in divisa. Barriere sormontate da filo spinato, strade protette da doppia recinzione, soldi pubblici sperperati per proteggere questo luogo devastato dalla “grande opera” alla stregua, forse meglio, di tanti “fortini” in giro per scenari bellici del mondo.
Prima vittima culturale del TAV in Val di Susa, il sito archeologico, rischia di non essere mai piu recuperato. Va sottolineato, alla valorizzazione di quest’area era destinato un progetto finanziato tramite Arcus (società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo costituita con atto del ministero per i Beni e per le Attività Culturali) per un importo complessivo di 835 mila euro e un cofinanziamento della Regione Piemonte di 25 mila euro.
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