Se “Genny la carogna” fosse un No Tav…

Il calcio offre un altro spettacolo pietoso di sé in un paese in balia dei veri violenti dove lo Stato concede spazi che altrove nega

di Davide Amerio

Premesso che di calcio non mi occupo più da 25 anni almeno, avendo questo mondo di miliardari che giocano in mutande dietro ad un pallone, di tifoserie violente e pilotate, di circo mediatico che ci gira intorno, di truffe e malversazioni e di debiti facili perso ogni qualsivoglia attrazione per quello che mi riguarda… osservare lo “Stato” (o meglio “stato” che non merita la maiuscola), lo stesso abituato a trattative impunite e nascoste con la mafia, che tratta con tifoso ultrà non stupisce punto. Sono decenni che si blatera intorno alla violenza dentro e fuori gli stadi ma ben poco è stato fatto: i tifosi, i fanatici, i violenti, sono pur sempre degli elettori, buoni elettori sopratutto se manovrabili e comandati.

Così dopo che a Torino il corteo No Tav ha ricevuto sonore manganellate dalle forze dell’ordine per difendere un partito politico e le testate giornalistiche si sperticano nel rinnovare nuove definizioni per i “violenti No Tav” e relegarli all’indice come nuovi terroristi, dall’altra lo “stato” tratta con i violenti, con il capo dei violenti che porta con “orgoglio” una maglietta che inneggia all’assassino del poliziotto Filippo Raciti: fatto che deprechiamo, condanniamo in modo assoluto, diversamente dai sindacalisti che applaudono a dei condannati.

Come ci addolora la morte di Roberto Mancini, eroe della terra dei fuochi, un servitore dello Stato abbandonato da questo “stato” e umiliato nel ricordo con un risarcimento di 5.000 euro.

Un capo degli ultras si può permettere di trattare con lo “stato”. Fosse un No Tav, un No Muos, un ragazzo dei centri sociali, dei comitati di base, o di qualche altro “antagonista” di questo “stato” sarebbe stato trascinato in questura e i solidali avrebbero ricevuto rispettose manganellate.

Certo ci si può appellare al rischio di un disordine forsennato dentro uno stadio dopo gli avvenimenti accaduti fuori e che la “trattativa” era necessaria.

Ma non posso non domandarmi piuttosto perché ci sia uno “stato” così arrendevole per tutto ciò che riguarda il mondo calcistico; forse per il fiume di denaro che ci ruota intorno? Quali complicità esistono tra il mondo calcistico e il malaffare?

Chi contesta lo sperpero del denaro pubblico, chi difende i diritti dei cittadini e la democrazia, la salute pubblica, i beni pubblici, rischia le botte, il carcere, le persecuzioni. Ad altri è garantita l’impunità e la libertà d’azione di creare disordini e anche di sparare.

Due mondi diversi: lo “Stato” dei cittadini, contrapposto allo “stato” dei politicanti conniventi.