Rodotà un difensore della Costituzione

E' morto Stefano Rodotà. L'Italia perde un insigne giurista difensore della Costituzione e dei diritti delle persone. Lo ricordiamo con un articolo di Tomaso Montanari.

Sembra così lontano quel 4 dicembre dell’anno trascorso nel quale in molti difendemmo la Costituzione Italiana dall’attacco massivo di Renzi-Verdini-Boschi. Abbiamo resistito per mesi non ostante le ignobili menzogne profuse dai media piegati al Pd di Matteo Renzi. Come da copione, il mentitore seriale non si è dimesso, non ha abbandonato la politica, come aveva “promesso”. Rimane lì a fare danni, insieme ai suoi compari. In quella battaglia i difensori della Costituzione sono stati appoggiati e affiancati dalle conoscenze e dal sapere di pregiati maestri del diritto Costituzionale, quelli che Renzi spregiativamente chiamava “professoroni” e che continuano a non essere amati da quel sistema politico che vorrebbe stravolgere la nostra Carta. Uno di questi maestri era  Stefano Rodotà, che ci ha lasciato in questi giorni, per il quale molti hanno sperato invano la nomina a Presidente della Repubblica. Lo ricordiamo con un pezzo di Tomaso Montanari presidente di Giustizia & Libertà. Buona lettura.


Si serra la gola alla notizia che non ascolteremo più la voce ferma, affettuosa e ironica di Stefano Rodotà. E si sente che da oggi, senza quella voce, siamo ancora un po’ meno sovrani: un po’ più indifesi, più soli, più fragili.

Quando capitava di camminare per strada in sua compagnia, invariabilmente succedeva che un cittadino si avvicinasse per salutarlo chiamandolo ‘presidente’. E non si riferiva alle sue tantissime presidenze (per esempio a quella del Partito Democratico della Sinistra, in un’epoca politica che oggi sembra remotissima), ma al fatto che per molti, per molti di noi, Stefano Rodotà era il presidente morale della Repubblica. Non c’erano polemica, o faziosità in questo dolce legame sentimentale: c’era invece un profondo senso di gratitudine. Tutti ricordiamo quell’aprile di quattro anni fa, in cui il nome di Rodotà risuonò per 217 volte nell’aula di Montecitorio dove si eleggeva il Capo dello Stato. E ad ogni lettura l’immaginazione correva verso un’altra Italia: un’Italia più libera, più dignitosa, più solidale. L’Italia della Costituzione e del popolo sovrano.

L’Italia che tante volte è scesa in piazza per questa Costituzione e questa sovranità: e Libertà e Giustizia ricorda con profonda gratitudine, tra tante occasioni di incontro e lotta comune, la presenza di Stefano alla grande manifestazione romana dell’ottobre del 2013 per difendere la “via maestra” della Costituzione.

Il Rodotà politico era la naturale – ma quanto coraggiosa! – conseguenza dello studioso che non ha usato la sapienza del diritto per rendere più potenti i detentori del potere, ma per restituirne un po’ agli oppressi, agli ultimi. Se dovessi indicare il nucleo della sua altissima lezione direi che ci ha insegnato – sono parole sue – «l’irriducibilità del mondo al mercato». La più essenziale delle lezioni di cui ha bisogno il mondo di oggi.

Tra i beni comuni che è vitale sottrarre alla dittatura del mercato, Rodotà ne indicava uno modernissimo quanto essenziale: la rete. «In questo spazio – ha scritto – tutti e ciascuno acquistano la possibilità di prendere la parola, acquisire conoscenze, creare idee e non solo informazioni, esercitare il diritto di critica, discutere, partecipare alla vita pubblica, costruendo così una società diversa, nella quale ciascuno può rivendicare il suo diritto ad essere egualmente cittadino. Ma questo diviene più difficile, se non impossibile, se la conoscenza viene recintata, affidata alla pura logica del mercato, imprigionata da meccanismi di esclusione che ne disconoscono la vera natura e così mortificano una ascesa che ha fatto della conoscenza in rete il più evidente dei beni comuni». Tra i tanti diritti al cui studio e alla cui difesa Rodotà ha dedicato una lunga vita felice è forse proprio il diritto alla conoscenza quello che oggi appare il fondamento più essenziale, e insieme più fragile, della nostra democrazia.

Il modo migliore per ricordare questo nostro grande amico, per provare ad essergli grati, è continuare a lottare per costruire, con le sue parole e le sue idee, «una società diversa».

il Fatto Quotidiano, 24 Giugno 2017