
Se il capo del governo italiano ha capito benissimo tutti i vantaggi che può ottenere dai social network, l’economia digitale del paese resta a metà
«È il nostro guru per internet», dice Filippo Sensi, il principale consigliere per la comunicazione di Matteo Renzi, il Presidente del Consiglio dei ministri italiano. Quando lo incontro nel suo immenso ufficio di Palazzo Chigi, la famosa sede della Presidenza del consiglio, a Roma, Sensi indica Francesco Nicodemo. Questi due moschettieri lavorano insieme, fianco a fianco – in T-shirt e se necessario mangiando pizza la notte nei loro uffici. Gestiscono la comunicazione di Matteo Renzi. L’anno scorso, sono riusciti in un colpo maestro: vincere le elezioni europee contro ogni previsione e sconfiggere, sul suo terreno digitale, Beppe Grillo e il suo movimento Cinque Stelle. Una vittoria spettacolare.
Francesco Nicodemo è napoletano. È un uomo dell’Italia del Sud che è stata devastata dalla crisi. Ma ha il «mal del paese», mi dice. Vorrebbe tornare nella sua città. È da quasi un anno che occupa un piccolo ufficio in un’ala di Palazzo Chigi. Se i retroscena della vita politica italiana, fatta di talk shows e intrattenimento, non hanno più segreti per lui, i codici e i costumi dell’alta società romana restano impenetrabili ai suoi occhi. Troppo codificati, troppo aristocratici, troppo mondani. Superficiali e artefatti, quindi. Non è Napoli! Prima, si occupava già di comunicazione per Matteo Renzi all’interno del Partito Democratico. «Ho cominciato a militare nel Pd a 16 anni, a Napoli. Il PD è la mia famiglia.»
Incarnare la speranza contro la rabbia
L’anno scorso, Matteo Renzi ha chiesto a Francesco Nicodemo di prendere la direzione della sua campagna digitale. Obiettivo: atterrare Beppe Grillo alle elezioni europee – un comico e blogger di sinistra radicale che aveva appena sfondato nei sondaggi. Grillo era particolarmente dinamico sui social network. Dunque era lì che bisognava impugnare le armi.
«I miei genitori vendevano il giornale comunista L’Unità per strada. Dunque, l’evangelizzazione la conosco. Con internet oggi faccio un po’ come loro»
Nicodemo, che è stato a lungo blogger anche lui, mi mostra un documento che descrive minuziosamente la campagna di comunicazione delle europee. Per battere Beppe Grillo, la squadra di Matteo Renzi ha costruito una strategia che si può riassumere in una formula: «Rabbia contro Speranza». «Renzi ha rappresentato la speranza, il futuro; mentre Grillo è stato l’uomo della rabbia della vendetta», spiega Nicodemo. Poiché Beppe Grillo aveva costruito la sua fortuna su Internet, è là che la squadra di Renzi lo ha battuto.
In parte è stata una battaglia fra piattaforme. Beppe Grillo ha privilegiato Facebook, Matteo Renzi ha puntato molto di più su Twitter: due concezioni della comunicazione politica digitale. Nel primo caso si parla ai propri «amici»; nel secondo ci si rivolge ai propri elettori e ai media.
«Abbiamo fatto quello che qui si chiama “digital judo”. Non colpivamo mai per primi; ma quando ci attaccavano rispondevamo. E, alla fine della campagna, siamo riusciti ad imporre i nostri hashtags su quelli di Beppe Grillo. E quando si impongono le proprio parole chiave, si guida la conversazione e si vince la battaglia», riassume Nicodemo.
«È tutta questione di comunità»
Matteo Renzi è un uomo politico nuova maniera. Appartiene alla generazione della televisione e, più ancora, a quella del web 2.0. La sua comunicazione digitale attualmente, come capo del governo, non assomiglia affatto a quella dei suoi predecessori. «Prima, era una comunicazione a piramide; oggi è in rete. Siamo passati dal top-down, dall’alto verso il basso, di una persona verso tutti ad una comunicazione di tutti verso tutti», dice Nicodemo, che cita il filosofo Antonio Gramsci e la necessità di creare una «relazione sentimentale» con le persone. «È tutta questione di comunità. Bisogna costruire una comunità»
C’è qualcosa di religioso in questo entusiasmo per la comunità. E non solo perché Matteo Renzi è un cattolico praticante ed un ex capo scout sposato ad una scout. La sinistra che Renzi rappresenta non è così lontana da quella che ieri era incarnata da Bobby Kennedy o, più di recente da Tony Blair: la giustizia sociale e il senso della comunità. Una sorta di Democrazia Cristiana senza averne il nome. Con in più la dimensione della condivisione digitale.
Imporre i suoi hashtags
Sui social network, Matteo Renzi va all’attacco. Preso per mano dal suo one-man-show digitale, ha più di due milioni di followers su Twitter e 830000 fans su Facebook (l’Italia conta 29 milioni di utilizzatori quotidiano di Facebook). Adora anche postare le sue foto su Instagram. E la newsletter bimestrale, più tradizionale ma più professionale, è letta da centinaia di migliaia di italiani. Questi media digitali accompagnano «la buona scuola», il programma di riforme di Renzi.
I suoi hashtag preferiti sono: #italiariparte o ancora #lavoltabuona. «Matteo Renzi è molto efficace. Utilizza Internet con naturalezza. Direi che è “fluente” [bilingue] per quel che riguarda il digitale», spiega Stefano Quintarelli, un deputato di sinistra, bloguer, e presidente dell’Agenzia digitale italiana. Altri ricordano che Renzi fu tra i primi a fare installare il wifi per le strade di Firenze, quando, molto giovane, fu eletto sindaco della città. E che uno dei suoi modelli non è altri che Steve Jobs, il fondatore di Apple.
Meglio come comunicatore che come politico?
Nei corridoi di Palazzo Chigi, ci raggiunge Roberta Maggio. Questa giovane donna coordina, dopo Nicodemo, la campagna digitale. Ha un’agenda «demente», mi dice. La squadra digitale di Renzi è giovane, caffeinomane, instagrammata e abituata alle conferenze TED. D’altra parte, nel suo raduno annuale, chiamato «Leopolda» dal nome della stazione di Firenze dove si svolge, Matteo Renzi ascolta parlare le persone per un massimo di cinque minuti. E si esprime egli stesso come se stesse girando un video per Youtube!
La comunicazione digitale e la politica digitale sono due temi ben distinti. In Italia, come altrove, sono squadre differenti che gestiscono i due filoni.
«Per quanto riguarda la comunicazione digitale, io do 10/10 a Renzi. È efficace, quasi magico. Ma quando si tratta di politica pubblica, non gli do più di 6/10 – e solo per incoraggiarlo» mi dice Massimo Russo, ex redattore capo di Wired in Italia e attuale n° 2 de La Stampa, il principale quotidiano di Torino.
Quando lo intervisto a Pisa, Russo resta moderato e prudente, ma critica il presidente del Consiglio italiano per essere politicamente «troppo timido» e non essere sufficientemente innovativo o creativo. Insomma, gli rimprovera di «non fare abbastanza Renzi».
«Renzi ha una strategia digitale?»
Si critica Renzi soprattutto per quel che riguarda il lavoro. Non avrebbe compreso la giusta dimensione della distruzione di lavoro operata da internet, e neppure la capacità del web di creare nuovi mestieri. C’è tutta una nuova filosofia economica che bisogna immaginare e Renzi mancherebbe di volontà. Soprattutto quando l’Italia ha il 40% di disoccupati fra i giovani…
«Matteo Renzi appare in televisione con un iPad: è questo per lui il digitale», sorride Pasquale Quaranta, giornalista del sito web di Repubblica. E quando gli chiedo cosa pensa della strategia digitale di Renzi, Quaranta sorride ancora: «Una strategia? Ah… la buona novella è che Renzia ha una strategia digitale!»
Un’economia digitale moribonda
Intervistati all’inizio di ottobre a Roma e a Pisa, numerosi attivisti digitali rimpiangono che il governo Renzi non sostenga sufficientemente l’economia digitale: l’innovazione è in ritardo; i crediti d’imposta insufficienti; la banda larga, per non parlare della fibra ottica, sono catastrofiche in Italia se ci si allontana dal centro delle grandi città; le «smart cities» non esistono affatto e gli incubatori sono troppo pochi; infine, i giovani italiani non hanno incentivi a creare le loro start-up e a lanciarsi in un’avventura imprenditoriale. Il nuovo presidente del Consiglio aveva promesso una riforma al giorno, ma si tratterebbe solo di «vento», secondo Pasquale Quaranta. Secondo molti, Matteo Renzi non ha davvero compreso la natura «trasformativa» di internet.
Claudio Guia, che vive a Firenze e ha frequentato Renzi quando era sindaco della città, è meno severo.
«Per quanto riguarda la comunicazione, Renzi è stato uno dei primi uomini politici a utilizzare i social network. Per quanto riguarda la politica pubblica, ha contribuito a cambiare la cultura digitale degli italiani. Matteo Renzi sa molto bene che se non abbracciamo la modernità diventeremo un paese da terzo mondo.»
«Inglese», «Internet», «Impresa»
Altri sottolineano come Renzi – che ha imparato tutto da Il principe di Machiavelli, il suo libro da comodino a Firenze – non fa altro che riprendere il metodo di Silvio Berlusconi il quale, a sua volta difendeva allegramente le «3I»: «Inglese», «Internet» e «Impresa». Ha parlato molto, ma non ha fatto grandi cose…
Così, «l’agenda digitale» di Renzi è un bel programma rimasto senza contenuti. «Avrebbe potuto fare di più», riconosce Claudio Guia. A suo credito, molti responsabili digitali intervistati applaudono tuttavia le azioni di Matteo Renzi contro i Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon). Una «tassa Google» è prevista dal 2017, per far pagare in Italia i giganti della rete – ma questo dipende anche da Bruxelles che può convalidare o meno il progetto italiano.
«Fare di più e fare più in fretta»
Ben cosciente dell’impazienza popolare, la squadra di Renzi vuole ora «emettere». Le politiche immaginate devono portare i loro frutti e permettere di superare il risentimento e il disagio degli italiani. Questa settimana, il governo Renzi sembra aver vinto una battaglia decisiva riguardante il Senato. Non è più certo questione di sopprimerlo, come inizialmente previsto, ma di «riformarlo». È già molto.
Su altri temi, le cose avanzano più lentamente. «Avrebbe potuto fare di più e più in fretta» torna come un leitmotiv. Molti si chiedono se a forza di parlare della «riforma», e di esaltarla non ci si dimentichi di farla. Come se i discorsi, che dovrebbero rappresentare l’azione che descrivono, si traducessero in semplici ritornelli comunicativi.
Nella squadra di Matteo Renzi, queste critiche non sono prese in considerazione. E qualche volta si ironizza anche sullo spirito da primo della classe. Attraverso un blog – di cui si attribuisce la paternità al vero guru di Renzi, Filippo Sensi – i portavoce del presidente del Consiglio presentano il loro punto di vista. Il loro account Twitter si chiama @nomfup e il blog porta lo stesso nome: NoMFuP. Iniziali misteriose che in effetti significano: «Not My Fuking Problem»…
DI FRÉDÉRIC MARTEL – 2 NOVEMBRE 2015 PUBBLICATO IN: FRANCIA
TRADUZIONE DI ITALIADALLESTERO.INFO
[Articolo originale “Matteo Renzi, l’as de la com’ numérique au grand flou politique” di Frédéric Martel]