Processo al terrorismo: ma quale?

Un clima intimidatorio che si sta legando a tutte le azioni di protesta che stanno sconvolgendo il nostro Paese.

di Gabriella Tittonel

A distanza di quasi un anno di carcere ecco lo scorso venerdì giungere le richieste di pena per il processo  ai quattro No Tav in quello ormai da tutti conosciuto come il processo per il compressore.

Nove anni e sei mesi, con l’accusa di azioni terroristiche. Con la richiesta, da parte di Ltf, di risarcimento danni per 50.000 euro, demandando, come le altri parti in causa, la decisione per danni d’immagine, al giudice. Questo quanto emerso nell’aula bunker delle Vallette, attraverso le lunghe esposizioni dei Pm Rinaudo e Padalino, esposizioni dai toni meno aggressivi dei mesi precedenti e che, dietro le parole, paiono oggi risentire del clima altro che si sta instaurando, con le nuove notizie sui costi della irrinunciabile opera, dei tentennamenti di parti del mondo politico nazionale ed europeo e delle notizie, annunciate da tempo dai no tav, di poca chiarezza negli appalti, di occupazioni abusive e quant’altro.

A più riprese si sono sentite le affermazioni di attentato alla vita, si sono fatte ipotesi su quanto sarebbe potuto accadere, sui danni potenziali, suscitando giuste perplessità sul fatto che , comunque, il giudizio va dato sui fatti e non su quanto sarebbe potuto accadere. Tenendo comunque ben conto che, dopo le deposizioni dei quattro ragazzi, in cui hanno rivendicato la presenza in cantiere la notte del 14 maggio 2013, non è seguito a questa la chiara affermazione di aver concretamente utilizzato quelle che ripetutamente, dall’accusa, sono state definite “armi da guerra”. Le condanne dunque, stando a queste affermazioni, verrebbero applicate per il fatto di esserci, di aver concorso all’operazione.

Avvallando in questo modo quel clima intimidatorio che si sta legando a  tutte le azioni di protesta che stanno sconvolgendo il nostro Paese e che sono destinate a moltiplicarsi a dismisura, frutto di affermazioni bonarie di ascolto dei bisogni e di scelte che invece vanno in tutt’altra direzione.

E se una nota apparentemente di buon animo si è sentita, di fatto la realtà è di tutt’altro tenore. Ltf ha infatti sottolineato che qualora i giovani fossero condannati al risarcimento danni non patrimoniali, questi verranno donati in beneficenza a una Onlus, “Vittime dei Doveri d’Italia”, a favore di appartenenti alla giustizia, ai corpi militari dello Stato, alle vittime del dovere, della criminalità e del terrorismo, a seguito dello svolgimento dell’attività operativa.

Per chi conosce quanto sta avvenendo nel cantiere del tunnel geognostico queste parole, seppur condivisibili, se si vuole, paiono una solenne presa in giro. Basti pensare  al giorno precedente il processo: il pomeriggio, una immensa nuvola di polvere, ben visibile dalle ultime case di Giaglione, fuoriuscita dal tunnel in costruzione, ha invaso la montagna e si è allargata sulla valle. Le finissime polveri, a periodi alterni, da un anno ormai ristagnano in vallata. Di questo i medici, gli esperti onesti, sono molto preoccupati.

La storia del No Tav valsusino, delle azioni che entrano nei tribunali, non è semplicisticamente allora una  parentesi di alcune menti rivoluzionarie, il vaneggiare di un drappello di ambientalisti scalmanati, ma è troppo simile a quella di altri territori, uno per tutti quello delle terre dei fuochi, dove si muore, si protesta, dove nessuno si muove, perché i guai dell’aria e della terra non rilasciano firme. O almeno, quasi mai. Chi pagherà per questo? Un bel detto cita che è meglio prevenire che curare… Con buona pace delle Forze dell’Ordine e dei lavoratori che nel cantiere respirano e che certo non si dovrebbero sentire meglio sapendo di poter contare su un futuro, ad mortem, risarcimento…

G.T. 15.11.14