Prima il comunicato degli imputati, poi le dispute su omissis e area di cantiere. Infine, la bagarre sulla sede del processo. Avvocati in rivolta.
Aula bunker, 23.12.2013. Era un piccolo presagio il black out che ha messo in forse l’udienza odierna in aula bunker, ritardandone l’inizio per un’ora, un avviso elettromagnetico dell’accumulo di condizioni avverse in cui si dibatte il processo. In primis proprio la sede, persino un po’ allagata. Già oggi l’udienza si sarebbe dovuta tenere al Palazzo di Giustizia, secondo le trattative in corso col Tribunale e la Corte ma le risposte alle istanze non arrivano, il Presidente fa spallucce dicendo che non è sua competenza, i pm danno incomprensibile segno di accanimento su una questione non solo simbolica ma anche dirimente per i legali dei No Tav costretti a perdere tempo e lavoro. E allora si ravvivano le tensioni e i battibecchi, di circostanza ma duri sotto la superficie di formalità tra le parti. Oggi anche gli imputati presenti si sono infilati tra le pieghe delle disamine dei tanti Digos in trasferta (il primo, Massimo Gerolami da Pescara) per dire la loro con un comunicato per la libertà di tutti i recenti arrestati. La loro voce si è sentita forte malgrado gli strepiti del pm Rinaudo, gli incerti ordini del Presidente Bosio di sgomberare l’aula, le difficoltà dei pochi Carabinieri presenti a ottemperare. Agli imputati in uscita si è unito il pubblico per un paio di slogan fino alla definitiva espulsione collettiva dall’aula. Fuori, qualche screzio con la forza pubblica che tentava di andare oltre gli ordini e sgomberare tutta l’area fino a precisazione del Presidente. Sembra che Rinaudo voglia chiedere di procedere contro gli imputati per vilipendio della Corte e per resistenza.
Dopo il trambusto, l’udienza riprendeva a scorrere con l’escussione dei tanti poliziotti, non sempre a loro agio di fronte all’incalzare dei controesami delle difese. La seconda baruffa si verificava con la chiamata della ben nota “bionda della Digos” torinese, Rosa Maria Durante. Immediata l’eccezione degli avvocati per segnalare la presenza impropria della teste durante diverse udienze precedenti, circostanze dal teste non negate ma giustificate dalle “esigenze di ordine pubblico”, un’anomalia che potrà comportare la nullità della testimonianza.
(Foto: i Carabinieri intervengono contro gli imputati che leggono in aula un comunicato contro gli arresti)
La testimonianza di Alessandro Scarpello, Digos di Torino, è particolarmente seguita perchè l’agente ha partecipato il 3 Luglio 2011 per tutta la giornata alle operazioni nell’area archeologica dietro il Museo e racconta i fatti che hanno portato al fermo di tre imputati e ai negoziati per il rilascio del Carabiniere rimasto in balia dei manifestanti nei boschi prospicienti i sentieri da Ramat. Singolarmente, buona parte del racconto è corroborato dalle riprese effettuate dai colleghi e cosi la testimonianza acquista un’inconsueta visualità. Racconta di come le squadre della Digos si muovono durante le operazioni di OP, con funzioni di informazione ai reparti mobili, autonomia di movimento (si possono aggregare a chi vogliono) e con disposizioni di fermare più dimostranti possibile (come da briefing nella mattinata del 3). Naturalmente, anche in Scarpello, che materialmente ferma un imputato che riporta lesioni, la memoria decade quando deve spiegarne le ragioni. E ovviamente non assiste a nessuna fase successiva ai fermi. Inoltre, nega di fronte all’evidenza dei filmati che alcuni agenti tiravano pietre. Da Scarpello si apprende che in quel settore (area archeologica e vasche) il dirigente che ordina le cariche e i lanci di lacrimogeni era il Dr. Annunziata che veniva poi sostituito a seguito di ferita, dalla Dr.ssa Lavezzaro. Conferma che il comando della piazza era del vicequestore Sanna e conferma che i fatti non hanno riguardato il sito strategico. Tale dichiarazione suscita la levata dei difensori che chiedono conseguentemente la revoca delle ordinanze di esclusione dei documenti della Questura con gli omissis e delle domande che fino ad ora non erano state permesse. Si richiede inoltre la planimetria del cantiere di Ltf. I pm reagiscono con l’argomento della sicurezza dei citati nelle suddette ordinanze e la Corte si ritira per decidere.
L’intervallo è lungo abbastanza da consentire un rinfrescone natalizio condiviso per avvocati e No Tav, esclusi “sbirri e digos” presenti.
Non fa sorpresa la respinta delle eccezioni delle difese, in questo processo cosi anomalo è una delle poche “sicurezze”. E allora si solleva la questione della sede del processo. Altra bagarre che si accende mentre anche la Corte si toglie la toga e riassume parvenze “normali” con il Presidente Bosio in giacca che concede un rinvio di tre giorni in più del previsto (sarà il 10 Gennaio la prossima udienza) ma si dichiara non competente a decidere la sede. Gli avvocati si riuniscono ed escono dopo un quarto d’ora con un breve comunicato in cui si riservano di prendere le adeguate misure per difendere il diritto alla difesa in questo processo.(F.S.)