
di Fabrizio Salmoni
La vendetta dello Stato sui No Tav passa per la requisitoria dell’avvocato Prinzivalli in un’aula bunker se vogliamo ancor più minacciosa per la seduta a porte chiuse. Perchè più ancora che le condanne penali si vorrà andare a colpire la sopravvivenza di imputati che di mestiere non fanno i manager d’azienda ma prevalentemente i precari: più di 1,3 milioni di euro i danni richiesti per sanare qualche mezzo di polizia ammaccato e per risarcire feriti molti dei quali con prognosi a tutt’oggi ancora sospette o, come aveva deposto il perito Ferrero, perlomeno irrilevanti, incongrue, sproporzionate. E dire che all’inizio della sua arringa aveva dato l’impressione di voler sfrondare i casi più discutibili rinunciando ad alcune rivalse ma poi, lento e inesorabile, Prinzivalli si dedica, più ancora delle pm, al paradossale indicando nel caso del vicebrigadiere dei CC Luigi De Matteo, bloccato, trattenuto e moderatamente percosso dai dimostranti dopo che aveva sparato lacrimogeni nel mucchio, un “sequestro di persona” con “tortura”, reati per cui ritiene che varrebbe la pena imbastire un altro processo. Cosa dovrebbe dire l’imputato Soru, semilinciato da agenti travisati con calci, pugni e bastoni e cosa dovrebbe dire il Nadalini, percosso a freddo con i manganelli quando già stava in barella da agenti che gli hanno anche urinato addosso e che impedivano all’ambulanza di prenderselo? Ma si è già capito dall’inizio del processo che la verità e il diritto qui stanno da una parte sola.
Sullo slancio poi, Prinzivalli riesce anche a prendersela con il Legal Team (“Gli avvocati ritratti nei luoghi dei reati devono scegliere quale veste indossare…”) suscitando immediata reazione delle difese. Tutto il resto dell’arringa è dedicato ad avallare la versione ufficiale delle autorità e mettere fortemente in discussione le presunte argomentazioni dei difensori: la legittimità dell’intervento, le modalità d’uso dei Cs, i buoni e i cattivi tra i manifestanti, e via di luoghi comuni della propaganda di Stato.
Dopo di lui, si succedono a ruota i vari legali dei poliziotti e dei loro sindacati, figure marginali del Foro che sembra non vedano l’ora di bollare la cartolina e dedicarsi a processi più remunerativi: non hanno mai brillato per iniziativa o presenza e ora incartano le scartoffie e corrono via dopo interventi di pochi minuti, giusto per togliersi il fastidio. Tutti ripetono le frasi paradossali che fanno tanto rumore mediatico e intransigenza da maggioranza silenziosa, si associano alle tesi della Procura e chiedono cifre chissà come calcolate. Il più violento è Bertolino, che non a caso difende il Sap: ne ha fatto una questione personale dopo che Anonymous gli ha frugato nella mail. Lo dice apertamente e si scaglia verbalmente contro gli imputati che rumoreggiano per i suoi toni eccessivi.
Il vero avversario degli imputati sono i legali di Ltf che si avvicendano in coda. Il Ronfani junior va in controtendenza rispetto alla Procura e riprende il tema della legittimità dell’opera perchè sa che il cumulo di illegittimità collezionate in quei giorni d’estate 2011 sarà un punto focale delle difese; cosi l’assenza del progetto definitivo, il frazionamento dell’Opera e l’utilità della stessa, discorsi che sono stati venduti per anni al miglior offerente e contestati in toto da tecnici e giuristi; argomenti frusti che però qui servono per dare una parvenza di legalità non solo all’intervento poliziesco ma appunto all’Opera tutta. Invoca risarcimenti per “danni di immagine” (per essere sembrata Ltf incapace di gestire la situazione, di mantenere la sicurezza del cantiere e dei lavoranti), “danni morali” per aver subito messaggi intimidatori insiti nell’identificazione con il cantiere stesso, insomma per essere le vittime predestinate dei violenti. Per la richiesta di danni, Ltf si riserva di avanzarla a condanna penale ottenuta.
Tocca alla voce vellutata e sicura di Anna Ronfani, stesso studio legale Mittone, quello dei potenti (da Craxi e La Ganga in poi), rappresentante oltre che di Ltf anche di due Digos torinesi, dare l’ultimo assalto agli imputati contestando loro atti e volontarietà (“tra gli imputati non ci sono pacifici”), sostenendo la tesi dell’unitarietà del fatto collettivo, cioè del concorso nei reati di ogni presente e /o prossimo ai fatti delittuosi, sovente sconfinando anch’essa, infrangendo un suo mirabile equilibrio, nel frasario paradossale (“summit strategico” l’assemblea serale del 26 giugno, “campo di battaglia”, ecc.). Uno dei digos che rappresenta è il Dr. Fusco, uno che dopo 40 giorni di malattia se ne fa dare altri 38 ma pur tornando in ufficio si dichiara “impossibilitato a muoversi autonomamente in servizio” e bisogna credergli.
Ronfani fa anche contabilità spicciola: è vero, il 27 giugno furono sparati 278 proiettili lacrimogeni “ma tutti entro lo spazio temporale di 1 ora e mezza”. I valsusini ringraziano per la parsimonia. Qualche parola Ronfani la dedica al perito di parte Ferrero ribaltandogli l’attribuzione di irrilevante ma risparmia gli avvocati della controparte perchè è molto più signora degli altri.
Dalla prossima udienza, il 28 Ottobre, in occasione delle arringhe dei difensori, il pubblico verrà riammesso per fare da cornice all’ultimo atto della recita e a un verdetto che tutti danno per già scritto.
Gli italiani dovranno con tutta probabilità rimettere mano ai portafogli per pagare danni a uno Stato che in Val Susa ha fallito su tutta la linea ma che vede nel sangue dei prigionieri l’unica vera rivalsa. (F.S. 14.10.2014)
Nella foto in evidenza: l’avv. Prinzivalli. Ultimo in piedi a destra, l’avv. Bertolino. Seduti da destra: i due Ronfani