
di Claudio Giorno
“Ricominciare dalla Comunità, dai Comuni come voi già state facendo da tempo”. Alex Zanotelli è tornato in Val di Susa, sei anni dopo. Allora un 25 aprile, oggi un I maggio quasi a voler sottolineare, lui che è un religioso, le due feste più laiche che il calendario propone, (anche se nello stesso anno – il 2006 – era tornato a ottobre). E dal grande, disadorno salone sotto la chiesa moderna di Condove, (dove il grigio del calcestruzzo sembra assorbire persino il rosso del sipario), ci ha regalato un po’ di colore: quello della sciarpa che porta abitualmente… Non feticisticamente, tiene a precisare: ne afferra un lembo e tende la stoffa in modo che se ne possa osservare la trama; “chi mi vede pensa che adesso arrivi l’uomo della pace, ma questi non sono colori vivaci della bandiera: questa stoffa arriva dall’America Latina e se guardate bene c’è un colore rossastro che passa attraverso tutti gli altri, li contamina: è un messaggio in codice degli indios che l’hanno tessuta e che attraverso di essa ci dicono una cosa molto semplice: noi stiamo lottando per la sopravvivenza nostra, della nostra cultura della nostra civiltà ma noi non siamo la cultura, la civiltà, la religione, il futuro… Se tutte le culture, le civiltà, le religioni riescono a intersecarsi avremo quello che Tonino Bello chiamava convivialità e se tutte queste cose riusciranno a mescolarsi ci sarà una umanità plurale, sennò siamo destinati a sbranarci. Ecco perché occorre ri-cominciare dai comuni ma ri-partendo dai quattro elementi che i grandi pensatori delle prime democrazie – quelle dell’antica Grecia – ponevano alla base della vita stessa: l’aria, l’acqua, la terra, il fuoco”.
Chiarisce che non sta certo pensando alle imminenti elezioni: è necessario ripartire dai Comuni perché sono gli unici luoghi dove ancora si può tentare di impedire alle multinazionali voraci (che hanno giù fiutato la catastrofe climatica imminente) di accaparrarsi l’acqua per poi rivenderla a caro prezzo. Evitare che i sindaci siano chiamati solo a gestire la speculazione bancaria sulle aree ancora appetibili favorendo implicitamente gli interessi loschi di corrotti e delinquenti. Impegnarsi in prima persona perché la tutela del territorio e della qualità dell’aria diventi l’obiettivo di ogni comunità.
Quest’anno il Valsusa Film Fest aveva lucidamente chiesto a Marco Aime, antropologo della Università di Genova, di affiancare padre Alex in una riflessione sulla povertà: il tema di quest’anno – poveri ma belli – prendeva a pretesto il fortunato titolo del film anni50 del cosiddetto “neorealismo rosa” per proporre durante tutte le serate in cui si è articolata la rassegna una riflessione più profonda sulla crisi ormai cronica che ci affligge dal 2008 e le dinamiche sociali positive che – non tutto il male vien per nuocere – le difficoltà possono stimolare. All’inizio della serata Roberto Canu, presidente del comitato organizzatore, aveva molto intelligentemente evitato di far proprio uno dei tanti “slogan twittabili” dell’ottimismo coatto che sta caratterizzando la campagna elettorale, tipo: “cogliamo le opportunità che ci offre la crisi”. Ma aveva chiesto ai relatori di offrire alle tante persone che gremivano il capiente salone degli spunti di riflessione su chi e come sembra riuscire a reagire meglio (per quanto possibile) a crollo del reddito e assenza di prospettive.
E in tutta la prima parte della serata i due oratori (che hanno molto gradito di potersi confrontare perché pur conoscendosi e stimandosi si erano incontrati solo una volta sino a oggi) si sono avvicendati nel portare esempi di come la finanziarizzazione del mondo abbia generato una disuguaglianza immorale e – paradossalmente – nociva persino per i meccanismi pure già ampiamente iniqui che caratterizzavano il capitalismo! Ma – da profondi conoscitori dei paesi più poveri – hanno anche testimoniato di come i popoli che avrebbero dovuto essere ben più vulnerabili dei “nostri” abbiano saputo spesso meglio reagire al procedere della crisi. Naturalmente senza dimenticare come il Mediterraneo sia ormai divenuto un grande cimitero; “qualcuno ha stimato oltre 40mila morti negli ultimi dieci anni” – dice padre Alex – (“e senza contare quelli sepolti dalle sabbie del Sahara mentre tentavano di attraversarlo per raggiungere i porti di imbarco” – aggiunge Aime). “Possibile che si sia dovuto aspettare Papa Francesco perché la Chiesa andasse a Lampedusa a parlare della globalizzazione dell’indifferenza e perché venisse posta quella domanda semplice e terribile: avete mai pianto vedendo un barcone affondare?Ma dov’e’ stata la conferenza episcopale italiana in questi 20 anni?” rincara il missionario Comboniano.
Innumerevoli i riferimenti ai grandi africani, alla straordinaria quanto misconosciuta cultura del Continente nero e agli autori la cui lettura accomuna entrambi.
E piena sintonia di Zanotelli quando Aime afferma che l’ impoverimento culturale esasperato dalla crisi è forse ancora più preoccupante dell’impoverimento economico: una situazione diffusa da cui sembrano sapersi almeno in parte difendere alcuni “laboratori” come lo è certamente divenuto in questi anni la Valle di Susa (in cui lui sta svolgendo da circa un anno un lavoro di ricerca); o i centri sociali: luoghi dove si discute in modo radicale, spesso disordinato, ma generando salutari dubbi: “la povertà nasce e si consolida nell’assenza di dubbi”. Ma il potere tenta solo di contenere gli eccessi di questi luoghi di elaborazione davvero “alternativa” criminalizzandoli e riducendo via via ogni spazio di confronto; assumendo sempre di più il comportamento tipico dei colonizzatori. Il che determina, nelle città massificate come nelle periferie disperate, una sorta di rassegnazione – anche in molti ragazzi giovani – che si rifugiano nella speranza di ritagliarsi un posticino pur marginale e precario nel “sistema” senza più la forza neanche di provare a immaginare la possibilità di un orizzonte diverso. Diverso da “o sistema” come lo chiama padre Zanotelli riecheggiando il linguaggio della Camorra, ma per indicare l’immoralità se possibile ancor più insopportabile della dittatura finanziaria. Un totalitarismo “moderno” che ha ormai esautorato la politica locale “colonizzando” le istituzioni globali e imponendo la sua “governance” senza fantasia né futuro; in una parola senza democrazia come dice Aime.
Condove, 2 maggio 2014 – Claudio Giorno