
Manca una cultura dell’olio che porti in tavola la tradizione, la qualità, la salute. Manca un’educazione all’olio. Alla ricerca del prezzo stracciato non ci accorgiamo che stiamo rinunciando a una parte di noi stessi, e non piccola né di scarsa importanza.
“Nell’olio di oliva, siamo al punto in cui si trovavano i viticultori prima del metanolo” dice Grazia Tom Mueller in una delle tante interviste contenute nel suo libro. Ci vorrebbe un terremoto, uno squasso che rimettesse in gioco tutto, per ripartire da zero.
Extraverginità (Edt 2013) torna in questi giorni libro utile, da leggere, da consultare per i recenti raggiri saliti all’onore delle cronache portando alla ribalta nomi eccellenti.
Extraverginità è infatti un’inchiesta che percorre l’Italia, il Mediterraneo e i maggiori paesi produttori d’olio oggi. Tom Mueller, giornalista del «New York Times», del «New Yorker» e del «National Geographic», ha intervistato storici e magistrati, coltivatori e produttori, ed è considerato oggi uno dei massimi esperti mondiali della materia: l’olio di oliva.
Un alimento, prima ancora che un condimento. Una cultura, prima ancora che un prodotto. Una tradizione e una passione per chi lo produce mettendoci l’anima. Più che cercare i torti, Extraverginità − a cui la Bertolli non aprì punto le porte rifiutando un’intervista −, fa emergere tutto il pregio di quel mondo che dagli scandali è più toccato e offeso, danneggiato. Quello dei produttori onesti, che non chiedono altro di far valere la propria sapienza portando sulle tavole dei consumatori un prodotto genuino, di qualità.
Certo, a voler pensare di poter acquistare un olio a 3 euro, oggi vien da ridere. Ma bisogna informarsi. E bene scrive infatti Milena Gabanelli nella prefazione: “Cosa sappiamo dei prodotti alimentari con cui ci nutriamo? Quasi nulla, e l’ignoranza fa di noi delle vittime perfette”.
Non basta leggere sull’etichetta di un olio “Prodotto in Italia” perché le olive siano italiane; così come non basta leggere “Confezionato in Italia” o “Imbottigliato in Italia” per essere sicuri che l’olio sia stato lavorato in Italia né che sia stato fatto con olive italiane. Potrebbe benissimo essere il prodotto di una spremitura di nocciole turche e olive greche, spagnole o tunisine portate in cisterne sulle nostre coste.
Insomma l’etichetta dice molte cose anche quando tace. Perché fornisce informazioni inutili come “Spremuto a freddo”, visto che gli oli sottostanno ormai tutti a questa lavorazione; ma raramente fornisce dati nutrizionali o delle proprietà organolettiche; raramente indica la cultivar (la varietà di olive) utilizzata per la spremitura; raramente, se proprio mai, l’uso più indicato per l’olio, l’accoppiamento giusto con i cibi o il giusto utilizzo in cucina.
Rende forse meglio l’idea una similitudine con il vino: immaginare di sedere in un ristorante, nel quale la carta dei vini presentasse soltanto due voci: Vino Rosso, Vino Bianco. Più o meno è quel che sappiamo dell’olio all’acquisto.
Se consideriamo la storia dell’oliva e dell’olio, la sua importanza nella cucina e nell’alimentazione, la sua presenza nelle liturgie e nella religione, allora dovremmo pensare che i nomi delle oltre 700 cultivar di olive sparse del mondo dovrebbero avere per ciascuno la domestichezza che hanno nomi come Barolo, Chianti, Bordeaux, Chardonnay ecc.
Eppure è proprio la cultivar, la varietà di olive, a far la differenza, a far di un olio l’insieme delle sue qualità organolettiche, chimiche, nutrizionali, di colore, di viscosità, di gusto, di utilizzo e accoppiamento ai cibi. Nomi come arbequina, ascolana, barnea, cobrancosa, coratina, cornicabra, empeltre, frantoio, hojiblanca, koroneiki, leccino, maurino, manzanillo, mission, pendolino, picual, picudo, sevillano, souri, taggiasca restano in bocca ai soli produttori che ne conoscono le proprietà. E le fatiche. La fatica di confezionare un prodotto che non può arrivare sul mercato a 3 euro al litro, ma nemmeno sotto i 10 a essere seri, che provenga dalle rive del Lago di Garda, dai terrazzamenti della Liguria, dalle colline umbre e toscane o le piane pugliesi. Abbiam mai letto uno di quei nomi su un’etichetta? Ne parliamo come parleremmo di un vino? Domande retoriche.
Qualcosa comunque si sta muovendo. Sono gli incontri di presentazione degli olii, sono i concorsi che si moltiplicano e stabiliscono graduatorie e premi, ma soprattutto stimolano i produttori alla alta qualità, sono i corsi per sommeiller dell’olio che curano il gusto e l’insegnamento al gusto. Sono le pubblicazioni che nutrono sempre un maggior interesse per la qualità di ciò che finisce sulle nostre tavole, come Extraverginità, che va a fondo delle truffe internazionali, delle contraffazioni e delle adulterazioni, ma soprattutto racconta l’olio e la sua cultura, racconta la terra offrendo un lungo elenco di consigli e un ampio spaccato delle aziende sane, dei produttori onesti e appassionati ai quali guardare con la speranza che la qualità, alla fine, paga sempre, nel sapore come nella salute.
Tom Mueller, Extraverginità. Il sublime e scandaloso mondo dell’olio d’oliva, Edt 2013, pp. 253, 18 €.
di Massimo Bonato per _Omissis_