
di Gabriella Tittonel
Un mondo da cambiare: questa la considerazione finale a cui si è giunti al termine della coraggiosa serata proposta dalle Alvà della Clarea che si è tenuta la scorsa settimana al polivalente di S. Didero.
Tema dell’incontro quello del fermo di polizia, su quanto accade nelle prime ore di fermo e poi in carcere. Ed un tema vissuto e narrato in prima persona da alcuni testimoni del territorio valsusino facenti parte del movimento No Tav, da Nina, Cristian e Lele e poi ripreso in alcuni aspetti dall’avvocato Massimo Pastore e dalla psicologa Paola Jacob.
Nel silenzio della sala in questo mondo si è immediatamente entrati attraverso le parole scritte in un diario da una donna che ha fatto questa esperienza e che da subito si è trovata in quel mondo altro dove non esiste identità, umanità, dove si è numeri invisibili in una sorta di batteria carceraria dove si obbedisce ai comandi, dove si perdono tutti i quotidiani legami affettivi, dove si è catapultati in una sorta di imbuto nel nulla, in un limbo nel quale è essenziale, se possibile, ritrovarsi, preservarsi.
Limbo incontrato anche da Timothy Ormezzano, fermato nel corso del G8 di Genova e che la sua storia l’ha fatta diventare un film. Per non dimenticare, per chiedere giustizia e cambiamento. Nel 2001 aveva ventisei anni e l’anno successivo convinse un suo amico a fare della sua storia un documentario, del quale uno spezzone è stato presentato a S. Didero.
“Quella notte del 9 settembre del 2011 io e Marianna eravamo alle vasche, sono stata trascinata, perché non ho opposto resistenza, dalle vasche ai cancelli, i miei detentori hanno avuto una forte reazione, da sdraiata si sono lanciati su di me, per fortuna un digos, Demar, si è sdraiato sopra me e si è preso venti secondi di decise manganellate, poi sono stata ammanettata al palo della luce sul piazzale della Maddalena…diventato un’altra cosa dal luogo di pace e serenità che era per noi…” – lungo, emozionante, il racconto di Nina, con silenzi e lacrime trattenute più eloquenti di tante parole. Un racconto simile, purtroppo, a tanti altri, con l’esibizione della nudità, l’interrogatorio di ore con il divieto di andare in bagno e il buio più totale sulla richiesta di parlare con il proprio avvocato, con i famigliari… e poi la detenzione in cella, dove tutto deve essere richiesto, dove tutto è spiato, dove le parole e le urla, di notte, dalle celle vicine, sono angoscianti ed irraggiungibili, tutto voluto nella ricerca esasperante di creare dipendenza e spersonalizzazione.
Un mondo, quello delle carceri, narrato anche con le parole dell’avvocato, che ha seguito i processi della Diaz a Genova, e che non ha avuto tentennamenti nel parlare di “pornografia del controllo”, di trattamenti degradanti e vietati dalla convenzione europea, ma che in Italia sono ancora possibili perché non è ancora reato la tortura. Dove si è in balia delle persone, carcerieri e carcerati anch’essi.
E mondo delle tante emozioni negative, che invadono tutto l’organismo e dove occorre trovare modi e metodi per controllare la paura, come ha ricordato la dottoressa Jacob.
Mondo da rifare. Rimettendo al centro la persona, rimettendo al centro il rispetto e la capacità di ricostruire sguardi che sappiano andare oltre la rabbia,la paura, le regole fissate altrove e che non sanno offrire a chi vive in carcere nessuna possibilità di ricostruire vita. Mondo dove da ambedue le parti ci si possa riconoscere con nome e cognome. Certo, questo è estremamente più difficile che consegnare al silenzio. E certo richiede una profonda formazione umana anche negli operatori.
Ma solo questa è la strada da percorrere per uscire da certi gironi infernali che possono riconsegnare poi, una volta usciti dalle celle, cittadini dai tanti risentimenti nascosti, dalle tante paure spesso non dette. Tutto ciò non è umano. E la vita è una splendida cosa che ci è stata data da vivere! Con i suoi lati positivi, con i suoi possibili sbagli, uno splendido sentiero in salita…
G.T. 25.11.14