O Capitano mio Capitano …

Robin William compianto attore del cinema ci ha regalato una grande interpretazione che dovrebbe aiutarci a riflettere su come stiamo affrontando le tormentate vicende del mondo intorno a noi.

di Davide Amerio

Negli ultimi giorni nei social è tutto un rifiorire di riferimenti, filmati, aforismi e citazioni dei film di Robin William dopo la sua tragica morte. Una delle sue interpretazioni più belle è stata certamente quella del professore nel film “L’attimo fuggente“. La passione di un insegnante che tenta di infondere a pargoli di buona, e ricca, famiglia l’amore per la poesia ma, sopra tutto, la passione per i sentimenti e la curiosità verso le cose del mondo.

“Perché sono salito sulla cattedra?” domanda il professore in una delle scene più famose.

“Sono salito per ricordare a me stesso che bisogna imparare a guardare le cose da un altro punto di vista!”.

Guardare, esaminare, esplorare le situazioni da “un punto di vista differente”; ribaltare la prospettiva, capire il punto di vista dell’altro, abbandonare il nostro ombelico lasciandoci guidare dalla curiosità per indagare gli aspetti nascosti o quelli che non appaiono a prima vista.

Viviamo inchiodati sulla nostra visione del mondo, facilmente ammaestrati dalla Tv e dai media; instradati su binari sicuri privi di scambi e ci facciamo sottomettere per timore di deragliare e di trovarci soli e senza una direzione.

Siamo come inesperti arrampicatori che stanno ai piedi di una montagna e sono convinti che quella è la montagna più alta in assoluto. Se solo salissimo sulla cima ci accorgeremmo che dietro ve nè un’altra ancora più alta e maestosa. Ma non saliamo, non ne siamo capaci, non ci dotiamo di strumenti adeguati per esplorare la vetta; ci accontentiamo di banfare che quella è la ‘nostra’ montagna, la più bella, la più alta. E rimaniamo ai suoi piedi precludendoci di comprendere la realtà.

Il paradosso del nuovo millenio in cui ci siamo incamminati 14 anni or sono è legato a questo rapporto inversamente proporzionale tra la complessità del mondo e la nostra incapacità di decifrare ciò che il quotidiano ci pone di fronte. Seguendo le leggi della teoria del caos (lo sbattito delle ali di una farfalla in una parte del mondo potrebbe generare un terremoto all’altro capo del pianeta) subiamo eventi che giungono da lontano (lontananza intesa come fisica ma anche come storia) e per noi incomprensibili.

La politica, tranne rare eccezzioni, non aiuta in questo. Ha rinunciato da tempo all’analisi degli eventi e della complessità per ridursi a banale spot pubblicitario elettorale pro domo sua. In questi giorni ne abbiamo avuto un esempio con il ‘caso’ di Alessandro Di Battista (M5S): il tentativo di ‘salire sulla cattedra’ per proporre un altro ‘punto di vista’ su una questione così drammatica come quella del terrorismo internazionale ha ricevuto insulti dai tanti parvenu delle politica nostrana. Possiamo essere certi che la maggioranza di costoro non ha nemmeno letto il testo scritto da Alessandro (condivisibile o meno che sia, in tutto o in parte) e quei pochi che l’hanno fatto non sembrano averlo nemmeno capito (nella sua problematicità).

Ma facciamo un salto indietro nel tempo. In questi ultimi anni si parla di uso terapeutico della cannabis e dei molteplici possibili usi della Canapa. La battagllia per ridare dignità a questo prodotto di madre natura in Italia risale a 30 anni or sono da parte del Partito Radicale.Il tentativo di far comprendere che la questione ‘droga‘ necessitava di una chiave di lettura diversa da quella imposta dalla ristretta visione proibizionista imposta negli anni ’50 fu onere dei radicali e di pochi altri isolati nel panorama politico. I più preferirono i rassicuranti proclami della ‘guerra alla droga‘ tanto altisonanti quanto fallimentari nella pratica quotidiana proibizionista che hanno consentito alle attività criminali di prosperare e diffondersi.

Guerra alla droga’, ‘guerra al terrorismo‘, ‘guerra alla criminalità organizzata,guerra ai violenti‘.

La parola guerra si ripete ogni volta. Non è un caso. E’ lo strumento linguistico con cui veniamo imbrigliati psicologicamente per farci sentire dalla parte dei ‘buoni’ a prescindere. Noi e loro. I buoni contro i cattivi. Non conta la complessità, non importa se la ‘guerra’ si protrae inutilmente seminando morte, sofferenza, altro odio, altra violenza; è il prezzo da pagare (ma chi lo paga?) per ottenere la vittoria (quale vittoria?).

E se qualcuno sale sulla cattedra e osa dire che è necessario guardare i problemi con un’altra prospettiva… che sia dannato, messo all’indice, considerato un complice e un reietto, un facinoroso, un drogato, un violento, un terrorista.

‘Noi’ stiamo dalla parte del bene e del giusto e combattiamo crociate fallimentari (le crociate le abbiamo inventate noi!) ma vendute come panacea per tutti i mali del mondo.

D.A. 19.08.14