
di Davide Amerio
Qualche giorno fa sul sito web Linkiesta.it è apparso un articolo dal titolo ‘Nessuna fine, il nuovo quorum rilancerà i referendum‘ a firma Tommaso Canetta.
Ritengo urgano una serie di precisazioni per fronteggiare l’insano ottimismo del pezzo dal quale si deduce che le preoccupazioni di numerosi costituzionalisti e di alcune (poche ahimè) forze politiche in Parlamento sembrano esagerate e fuori luogo.
Vediamo in dettaglio le argomentazioni (testo originale in corsivo).
I sostenitori della riforma fanno però notare che la trasformazione del Senato in organo elettivo di secondo livello marcia di pari passo con la fine del bicameralismo perfetto
È proprio la fine del bicameralismo perfetto cui vengono attribuiti impropriamente tutti i mali del mondo che viene contestata: sia per quanto riguarda l’efficienza istituzionale (quando la casta decide di imporre una legge porcata le procedure sono velocissime), sia per la fasulla questione del ‘risparmio’ con la finta abolizione del Senato. Falsa in quanto non abolito (come promesso da Renzi) ma riproposto con una veste e finalità diverse : non più soggetta al controllo dei cittadini ma a quello politico tutto internamente ai partiti con le disastrose conseguenze già illustrate dai costituzionalisti. Nessuna argomentazione quindi per confutare le critiche bensì un refrain che cerca di argomentare se stesso.
Le leggi di iniziativa popolare sono poi uno strumento che finora non ha funzionato: nella XVI legislatura ne sono state presentate 27, di cui una sola approvata, 15 sono state assegnate alle competenti commissioni senza mai essere discusse, nove hanno iniziato l’esame e lì si sono fermate, una è ancora da assegnare. Alzare la soglia di presentazione dovrebbe (ma di questo non c’è alcuna garanzia nel testo della riforma) spronare il Parlamento ad avere maggior considerazione di quelle proposte che riescono a superarla.
Secondo questa ipotesi la ‘colpa’ della scarsa considerazione che il Parlamento (e le forze politiche) hanno per le leggi di iniziativa popolare risiede nel numero delle firme raccolte. Bizzarra suggestione: non credo sarebbe difficile fare un elenco di tali leggi che hanno superato le 300.000 firme e non hanno ricevuto alcuna attenzione. Comunque l’argomentazione non regge: è dovere delle istituzioni prendere in considerazione i suggerimenti posti dai cittadini. È un dovere discuterne e semmai giustificare un esito negativo. Non si tratta di numero bensì di interesse democratico che questo governo non ha e non manifesta; di volontà politica di ascoltare le ‘istanze’ dei cittadini che vengono sistematicamente ignorate se non possono essere manipolate a fini elettoralistici.
E veniamo al pezzo forte: il ‘nuovo’ referendum abrogativo. Anche qui le critiche vengono respinte citando addirittura il referendum sul Porcellum: raccolte un milione di firme ma mai attuato perché la Corte Costituzionale lo ha reso inammissibile in quanto avrebbe ‘ lasciato un inaccettabile vuoto legislativo.’
Sulla speciosità del ‘vuoto legislativo’ ci sarebbe molto da dire: com’è possibile creare un vuoto quando viene richiesta l’abrogazione di una legge insana? I casi sono due: o c’è una legge precedente che potrebbe riprendere il suo corso in attesa di una nuova formulazione oppure non c’è nessuna legge dopo l’intervento del referendum. Ma l’assenza di una legge c’era già prima che ne fosse promulgata una ritenuta sbagliata dai cittadini. Il referendum abrogativo è l’ultima ratio offerta per correggere un’imposizione ingiusta da parte del popolo: quello stesso popolo che è sovrano, secondo la nostra Carta, e che lo rimarrà sino a quando Renzi non farà approvare questa porcata di riforma.
Si noti poi la curiosa vicenda del Porcellum: la Corte Costituzionale ha impedito il referendum con la motivazione del ‘vuoto legislativo’. Anni dopo è la stessa Corte che stabilisce il Porcellum anticostituzionale. Questo significa che le ragioni dei cittadini erano ben motivate e che si è creato un ‘vuoto legislativo’ tutt’ora vigente; preoccupante per i peggioramenti che si vogliono introdurre con l’Italicum ma che in caso di elezioni verrebbe colmato dalla legge precedente (Mattarellum) come ha definito la stessa Corte. Quindi il ‘vuoto legislativo’ non sussiste in presenza di una legge precedente a quella abrogata.
Siamo quindi di fronte ad una palese contraddizione con l’aggravante di aver atteso 4 anni per avere il parere della Corte e trovandoci ora un Parlamento eletto con una legge incostituzionale che vuole mettere ferocemente mano alla Costituzione che ha violato. Oltre ad un governo, figliato da siffatto Parlamento, le cui modifiche entreranno a gamba tesa nell’elezione del Presidente della Repubblica, nelle nomine del Csm e della Corte Costituzionale disfacendo gli equilibri dei contrappesi istituzionali.
La valutazione del ‘nuovo’ quorum non muta la sostanza: se si voleva davvero modificare in termini di efficacia costituzionale il referendum era sufficiente abbinare all’innalzamento del numero delle firme (anche un milione) il quorum a maggioranza dei votanti; chi vota decide.
Altro elemento sarebbe stato l’inserimento di referendum propositivi seguendo il ragionamento logico del maggior coinvolgimento dei cittadini, ma è chiaro che l’obiettivo è ben diverso: impedire agli Italiani di intervenire giustificando le regole restrittive come un’opportunità di maggior attenzione da parte del Parlamento.
Fare la storia di ciò che sarebbe accaduto ai vecchi referendum secondo le nuove regole è un esercizio inutile: come dicono i torinesi ‘se mi mia nonna avesse avuto le ruote io sarei un tram!’.
Solo apparentemente l’abbassamento della soglia così riformulata potrebbe portare un beneficio per evitare di far fallire il referendum giocando sull’astensione, come sostenuto nell’articolo. La vera questione è l’informazione. Raccogliere 800.000 firme, con un periodo di sospensione a 400.000 per attendere il giudizio della Corte Costituzionale, richiede uno sforzo mediatico notevole e in questo caso ha ben ragione Pannella a dire che solo più le grandi organizzazioni si potranno permettere di promuovere un referendum.
Difatti la ragione dei fallimenti referendari negli ultimi 15 anni è proprio dovuta alla mancanza di informazione reale. La partitocrazia di ieri (casta di oggi) ha ben compreso, dopo i tonfi craxiani degli anni ’90, che il miglior modo per sconfiggere i referendari è far si che vengano ignorati dai media nazionali; sopratutto da quelli di Stato (Rai) che dovrebbero invece garantire il pluralismo.
Se non si parla del referendum… il referendum non esiste o non viene percepito come importante.
Solamente nelle ultime occasioni referendarie si è avuta una mobilitazione popolare enorme figlia del disgusto per la classe politica che ha superato il muro di gomma dell’informazione di regime.
Casualità vuole che l’azione del governo Renzi si indirizza proprio sempre più nell’alzare la barriera tra i cittadini e il governo, e nell’occupare politicamente le televisioni di Stato.
Una coincidenza? Beato chi ci crede.