
di Gabriella Tittonel
Marcia notturna del popolo del No Tav lo scorso sabato in Clarea, a due giorni dal bliz notturno nel cantiere della Maddalena. Una marcia illuminata da una luna piena impegnata anch’essa a farsi spazio tra nuvola e nuvola e che ha visto lungo il sentiero persone di tutte le età, di tutte le fasce sociali impegnate a raggiungere il cantiere e fermate, anche in questa occasione, davanti al limite scelto come invalicabile dalle Forze dell’Ordine, quello del ponte sul Clarea.
Qui, come sempre, presente un consistente numero di persone in divisa, tutte con casco, scudi e spara lacrimogeni, maschere antigas indossate, altre con telecamere e vario corredo identificativo, mentre a ridosso del ponte e poi lungo la cosiddetta strada di compensazione, una lunga fila di cellulari dalle instancabili luci blu contribuiva a illuminare uno scenario di ante guerra.

Davanti a tanto apparato slogan, canti e battute non sono mancati, sono stati ricordati i fatti di alcuni giorni fa a Napoli, ma anche quanto avvenuto nel 2001 a Genova: testimone minuta, dall’apparenza fragile ma determinata, Haidi Giuliani, alla quale a Genova venne ucciso il figlio e che davanti alle Forze dell’Ordine è venuta con un cartello dove rivendicava questa nuova morte, in silenzio, con rispetto, certamente con dolore.
Il corteo è poi risalito al piazzale delle centraline, da dove il cosiddetto cantiere si è mostrato in tutto il suo provocatorio sfavillio e da dove, ad illuminare la notte, sono partiti tutta una serie di luminosi fuochi artificiali, accompagnati dalla battitura, insistente, rumorosa, voce di popolo che non si arrende.
Questa la cronaca di una notte che ha chiuso idealmente il campeggio di settembre.
Ma con questa val la pena di fare alcune semplici considerazioni, maturate in questo ennesimo incontro tra manifestanti e Forze dell’Ordine. Incontro surreale, perché da ambedue i lati c’erano persone con identici problemi da risolvere, con eguali territori dove questioni come la devastazione, l’inquinamento, le malattie diventate naturale conseguenza sarebbero questioni da risolvere insieme. E invece no. Tutti birilli di un gioco più grande, che vuole nemici in campo per muovere le sue pedine. Sarebbe tempo di cambiare. Di chiedere insieme le cose importanti della vita: l’ambiente non contaminato e non distrutto, le scuole, gli ospedali, il lavoro. Ce ne sarebbe per tutti di che vivere, ci vorrebbe solo un po’ di saggezza e di coraggio.
In quella notte che si è aperta al giorno dedicato dalla Chiesa alla giornata per la custodia del creato è opportuno sottolineare allora quanto un uomo di chiesa, proprio in questa giornata ha ribadito: “Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai”. Sarà bene pensarci, fin che abbiamo un briciolo di tempo. Intanto che piccoli e grandi disastri, in questa nostra nazione che si riempie la bocca di grandi opere, si susseguono, segno di incuria, superficialità, decisioni assassine che conducono gli umani gli uni contro gli altri.
G.T. 08.09.14