
di Massimo Bonato
Non fosse cosa seria avrebbe del risibile. Ma purtroppo ogni circostanza pare diventare motivo per gli inquirenti di indagare, registrare, monitorare, redigere rapporti, visionare fotografie e infine denunciare. Magari qualcuno che ha scritto ieri su un muro in zona Molinette “Padalino, terrorista è tua madre. No Tav!”, ma le firme apposte sono quelle dei quattro accusati di terrorismo, e quindi una scritta in solidarietà a loro (Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò). Grandi assenti, poiché arrestati il 9 dicembre scorso.
«La Stampa», «la Repubblica», «Tgcom», «Articolo3» ne riportano in nottata la notizia. “Scritta minacciosa” scrivono, “sull’accaduto indaga la Digos”. Prassi ordinaria. La scritta è rivolta al Pm Padalino, che insieme al collega Rinaudo segue “le vicende giudiziarie collegate alle azioni dell’ala violenta ed eversiva del movimento No Tav”, scrive il quotidiano torinese.
A onor del vero «la Repubblica» si spinge un po’ più in là, mettendo a parte il lettore di qualche ragguaglio: la scritta muraria infatti diventa uno “striscione, lungo 20 metri”, l’ala del movimento su cui indagano i due Pm è soltanto “violenta” (“eversiva” pare ormai dittologia sinonimica trattando del movimento No Tav, e in quanto sinonimo si potrà sempre usare qualche altra volta). I fatti per i quali i quattro sono stati arrestati sono relativi alla notte tra il 13 e il 14 maggio, quando al cantiere Tav venne incendiato un generatore di corrente, e in merito «la Repubblica» riporta doviziosamente il lancio “di oggetti e … una ventina di bombe molotov”.
Quando ci son di mezzo cifre, è sempre curioso capire come il conteggio sia stato fatto, e ci si inoltra tra la gran copia di testate che riportarono l’accaduto sia in occasione dei recenti arresti sia all’indomani dell’assalto. La quantificazione dell’oggetto in questione va dall’omissione dell’articolo indeterminativo-partitivo “dei/degli/delle” (tipo «il Fatto Quotidiano» “hanno attaccato contemporaneamente quattro cancelli con bengala e razzi lanciati da un mortaio rudimentale, bombe carta e bottiglie incendiarie”) fino alla metafora, ancorché indefinita, dello «Spiffero» “una vera e propria ‘pioggia di molotov’” passando attraverso tutti i dispositivi linguistici utilizzati da testate cartacee e webmagazine (“alcune”, “qualche”, “un’ingente quantità di…” ecc.). Ma i numeri, in merito a quella notte, li dà la Questura, basta leggere: “10/15 bottiglie incendiarie”. La prossima volta che se ne parlerà potrebbero diventare una trentina, ma tanto, che differenza fa? Neanche distinguiamo una “minaccia” da una semplice “ingiuria”.
Massimo Bonato 06.01.14