di Davide Amerio.
Il processo ai quattro No Tav imputati per “terrorismo” arriva alle sue conclusioni e la Procura per mezzo dei magistrati Rinaldi e Padalino chiede una condanna pesante: 9 anni e mezzo.
La richiesta in realtà non stupisce. Non ho dimestichezza con i termini del diritto ma avendone con la logica e un minimo di buon senso la conclusione, dal punto di vista della procura non poteva essere che questa; viceversa una richiesta “leggera” avrebbe di per sé delegittimato tutto l’impianto accusatorio di questi mesi.
La questione infatti riguarda proprio la “logica” su cui si poggia l’accusa: dimostrare che gli imputati sono dei terroristi che hanno usato metodi paramilitari per colpire lo Stato.
Nel mese di Agosto abbiamo riportato una notizia piuttosto drammatica: nel sud della Francia (Lisle-sur-Tarn) si tenne una manifestazione per contestare la costruzione di una diga che, se reallizzata, condurrebbe ad un danno ambientale notevole. Le notizie dei giornali francesi parlavano di scontri tra manifestanti e la polizia e di circa 90 (novanta!) bottiglie molotov scagliate contro le forze dell’ordine. Ciò che mi stupì fu il fatto di non trovare da nessuna parte l’appellativo di “terroristi” rivolta ai manifestanti (e si che le molotov non sono bombe carta o petardi!).
La Procura accusa di comportamento “paramilitare” gli attivisti No Tav e questo fatto incuriosisce. Se, giusto o sbagliato che sia, l’obiettivo era quello di violare un territorio (protetto per lo Stato, occupato per i No Tav) del cantiere e danneggiare (come è stato fatto) un compressore (unica “vittima” del raid notturno) che cosa avrebbero dovuto fare? Presentarsi ai cancelli con i documenti in mano e chiedere ai poliziotti che li facessero entrare una decina di minuti (per cortesia, ovviamente) giusto il tempo di compiere il gesto e poi uscire dalla porta principale scusandosi per il “disturbo”? La logica ci dice che una simile iniziativa avrebbe certamente declassificato il comportamento da “paramilitare” a quello di “pirla” senza alcun effetto pratico.
In fondo è di questo che stiamo parlando: della possibilità di manifestare delle ragioni di dissenso consapevoli però che queste “ragioni” (suffragate dai fatti) verranno davvero ascoltate e prese in considerazione. Questo è quello che ci aspettiamo in una democrazia che si fondi sul diritto.
Le argomentazioni della Procura sono invece rivolte a contestare, in pratica, un dissenso che ha intrapreso la strada del boicottaggio come ultima istanza.
“Ci può piacere o no – ha argomentato sempre Rinaudo- che venga costruita questa linea ferroviaria, ognuno ha sua opinione, ma ormai quest’opera è stata decisa dallo Stato” e “attraverso queste condotte – ha detto – si attaccano scelte e interessi fondamentali dello Stato: scelte di politica economica, di politica internazionale e anche ambientali”. E gli stessi poliziotti “non sono stati aggrediti come singoli, ma come rappresentati dello stato” [notav.info].
Questa tesi disgiunge i fatti dal contesto storico e politico nel quale sono avvenuti. E’ l’affermazione dello “Stato”, del “Leviatano” a prescindere da come esso agisce e opera nella pratica in deroga ai principi della nostra Costituzione. A quale “Stato” si riferiscono i nostri pm? A Quello che deve arrestare un giorno si e l’altro pure politici corrotti e corruttori che usano le “grandi opere” come un bancomat? Oppure quello che porta gli “imprenditori” a parlare in televisione dei cattivi No Tav e che vengono poi loro stessi arrestati? Oppure quello che non sa più come ammettere che i soldi non ci sono, che i conti sono sbagliati e farfuglia per mezzo delle voci di policanti e commissari che cercano di salvarsi la faccia? O si riferiscono a quello “Stato” fatto dei comuni come Bardonecchia sciolti per mafia?
I poliziotti sono il simbolo di quale Stato? Quello democratico che attiene ai principi della nostra Costituzione o quello basato sulle organizzazioni criminali e massoniche?
Alzando lo sguardo dalle carte processuali chiunque può, a meno di pregiudizi, verificare e capire che siamo in presenza di un movimento che rifiuta non lo “Stato” ma “questo” Stato corrotto che fonda l’economia sull’ipocrisia e sul malaffare.
Certo ci sono, all’interno del movimento, diverse anime, tra cui quelle anarchiche che possono contestare la figura dello Stato perché immaginano altre soluzioni di organizzazione sociale e politica, ma non perché vogliono sostituire l’esitente con il caos o il disordine. Le loro “azioni”, condivisibili o meno (e anche condannabili in certi casi) si muovono sugli stessi binari del movimento perché contestano, in primo luogo, la gestione di “questo” modello di Stato che si è affermato dal dopoguerra in poi alla faccia di quanti sono morti per avere libertà, democrazia e dignità sociale. Una democrazia di parvenza dove l’informazione ufficiale lavora per far guardare il “popolo” altrove e non nei punti strategici dove si annida la corruzione morale e materiale. Un paese nel quale rigurgiti di fascismo violento affiorano palesemente e cui, purtroppo, non sono estranee pezzi delle Forze dell’Ordine che vengono usate per “creare” il dis-ordine ad hoc.
Di quale Stato stiamo parlando? Di quello immaginato dal nostro Inno nazionale che recita “… Ché schiava di Roma Iddio la creò…” o di quello Francese che parla di “cittadini”? Non ho nulla contro il nostro Inno nazionale ma non si può non notare questa differenza che ha un significato storico ben preciso. Difatti i nostri cugini d’Oltralpe quando si “incazzano” non fanno tanti compliementi e nessuno li accusa di “sovvertire” la Repubblica.
La questione è fondamentalmente questa: la differenza tra uno Stato composto da sudditi o quello formato da cittadini che in nome della difesa dei principi nobili propri dello Stato di diritto e della legalità Costituzionali agiscono, non si piegano e non si arrendono al “potere” occupato abusivamente da persone immeritevoli di questo onore e incapaci di assolverne gli oneri.
Questo è il valore che i No Tav consegnano alla “Storia” con buona pace della Procura di Torino.
(D.A. 15.11.14)