Montagna assassina ?!?

Monte_grappa_neveDa alcuni giorni nei telegiornali nazionali gli incidenti accaduti con la neve vengono associati all’idea ossessiva della montagna che uccide. Ma è davvero così?

Di fronte alla tragedia, al dolore, alla perdita di vite umane è comunque dovuto un rispettoso silenzio. Ma la banalizzazione dei fatti che ci offre la televisione con titoli eclatanti e fuori luogo ci deve invece far riflettere sul modo di intendere l’informazione e su quanto questo influisca nelle nostre vite.

Da tempo ogni evento meteorologico che segua  il proprio naturale corso stagionale è presentato in versione catastrofica: se non piove siamo prossimi alla siccità; se piove abbiamo maltempo; se nevica è una bufera; se fa caldo gli anziani sono costretti a rifugiarsi dentro i congelatori dei supermercati.

Vero che gli eventi atmosferici si propongono sempre più sovente con energia spropositata e improvvisa. Non da oggi gli “esperti” ci informano e ci mettono in guardia sui pericoli che il nostro modello di vita genera nell’ecosistema e restano per lo più inascoltati sopratutto da chi, per responsabilità e posizione,  dovrebbe dar loro attento ascolto.

I pericoli vengono dalla trascuratezza, dall’imprudenza, dalla superficialità con cui le persone si rapportano alla natura. La storia d’Italia è ricca, purtroppo, di tragedie annunciate: esondazioni, crolli, slavine, tracimazioni e via dicendo. Eppure sembra che non impariamo nulla o quel poco che apprendiamo lo facciamo storcendo il naso e appellandoci al principio dell’esagerazione quando siamo costretti a prendere precauzioni.

Siamo in questo molto aiutati dalla televisione la quale, per esempio, non perde occasione di affiancare alla voce dell’esperto -che per l’ennesima volta ci mette in guardia dai pericoli delle valanghe- il titolone “Montagna assassina” per presentare la nuova drammatica tragedia consumata tra le nevi innocenti delle nostre montagne.

Questi titoli veicolano un messaggio doppiamente sbagliato. In primo luogo la montagna viene antropoformizzata come essere vivente (umanoide) che possiede una volontà (assassina in questo caso); in secondo, l’uomo viene deresponsabilizzato delle sue azioni: la colpa è sempre dell’omicida mica della vittima.

Di esempi analoghi ne troviamo in abbondanza: si tratti di mare, fiume, o di una collina, la solfa non cambia.

Le persone adulte dovrebbero aver intelletto per distinguere tra una tragedia improvvisa e inopinabile, e quelle frutto (ahimè) di palesi imprudenze e comportamenti scellerati. Il web (così come le televisioni) propongono sovente programmi nei quali acrobati improvvisati si cimentano in evoluzioni pericolose per sé e per il prossimo. Troppo spesso il desiderio di “apparire” spinge certe persone a confondere il gesto temerario e incosciente con il coraggio.

Per carità, ciascuno è libero di vivere come meglio gli aggrada e di compiere azioni spericolate che soddisfino il proprio ego ma, sia chiaro, quando la tragedia si è verificata, non incolpiamo la “natura” per la nostra incoscienza.

Ricordo molti anni fa, mentre frequentavo corsi per avere il brevetto da sub gli insegnati che ci spiegavano come fosse normale avere paura l’attimo prima di entrare in acqua (indossando tutti gli strumenti idonei a quello sport); è quella paura che ti salva la vita, perché ti rende cosciente dei pericoli e attento a ciò che fai.

Il coraggio non è non avere paura ma avere coscienza di questa e superarla con buon senso e consapevolezza dei pericoli e domandarsi, ogni tanto, se vale la pena rischiare la vita per un ipotetico divertimento.

Davide Amerio 30.12.13