M5S il coraggio necessario a Di Maio e al movimento

Per il M5S, dopo la nomina di Di Maio a candidato premier, è venuto il tempo delle scelte difficili e delle sfide necessarie da intraprendere per far crescere il movimento.

di Davide Amerio.

Terminata la tre giorni di Rimini il M5S si incammina in una nuova fase, estremamente impegnativa. Decretata la nomina di Di Maio quale candidato premier e capo “partito” pro tempore, offerta a Grillo la possibilità di non avere più tutto il peso del movimento sulle spalle, l’attenzione si è, al solito, concentrata sugli aspetti più superficiali delle vicenda. Ha destato perplessità (se non scandalo) il fatto di non aver avuto più candidati realmente papabili per la competizione. L’attacco mediatico volto a screditare qualsiasi cosa venga proposta e detta dal movimento, non arretra e non si placa. Ma di questo non merita conto perdere tempo a parlarne.

La Sfida.

Ciò che dovrebbe essere preso seriamente in considerazione, è la sfida che, a mio parere, attende il movimento per accreditarsi, agli occhi dell’opinione pubblica, quale strumento reale ed effettivo per imporre al paese un mutamento di rotta da quel declino lento e continuo nel quale si inabissa da decenni, coperto rumorosamente dalla propaganda renzusconiana.

Questa “sfida” comporta una riformulazione del movimento, che certamente a qualcuno non piacerà, per adattarlo alle concrete esigenze dell’agone politico, senza perdere di vista il progetto.

La genesi del M5S è fenomeno atipico nel panorama politico dell’Italia dal secondo dopoguerra. Ripercorrere il cammino dalle origini, con le sue evoluzioni, sviluppi e contraddizioni, è necessario per comprendere i punti di forza e di debolezza.

La Genesi.

Il M5S nasce formandosi intorno a una visione di un futuro possibile diverso da quello perentoriamente offerto dai partiti “tradizionali”. La partitocrazia, nelle sue forme più feroci di occupazione di ogni anfratto istituzionale, di corruzione e connivenza criminale, di conflitti di interesse ai danni della nazione, ha demolito, nel corso del tempo, la fiducia dei cittadini e la credibilità delle istituzioni.

Questo bisogno di una politica “altra”, rispetto all’unificazione dei comportamenti dei partiti in spregio alle ideologie e alle loro origini, ha condotto persone di estrazione diversa nell’unirsi intorno a un progetto nato dentro la rete e poi catapultato verso il mondo esterno dalla felice combinazione dell’incontro tra un “comico” e un “imprenditore” visionario.

Il desiderio, e la necessità, di essere “altro” rispetto al vissuto, non qualifica qualsiasi scelta come giusta o coerente. La creazione di un non-statuto è il parto di questo big bang improvviso, ricco di energia potenziale, ma portatore sano di alcune ingenuità che zavorrano il movimento nella sua crescita, creano dissapori interni, e hanno prodotto alcune cocenti delusioni.

Le Ingenuità

  1. L’onestà come unica arma vincente:

    illusione nell’aver creduto che questa condizione, necessaria, sarebbe stata sufficiente per scalzare il vecchio sistema dei partiti. Questi avrebbero dovuto, in qualche modo, far le valigie di fronte alla novità di un movimento nato e cresciuto proprio contro tutto ciò che essi hanno rappresentato. In particolar modo negli ultimi 30 anni.

  2. La legalità come strumento protettivo

    In Italia la legalità è un concetto controverso, in ragione del fatto che la politica non sente alcuna necessità, né tanto meno il dovere morale, di avere apparati e organismi di giustizia funzionanti, efficaci ed equi. Le inefficienze sono patologiche, quanto lo sono le discrezionalità nell’interpretazione delle leggi, volutamente confuse e troppo interpretabili. Dai tempi di Tangentopoli, quando il paese ha “sognato”, per un brevissimo periodo la rinascita morale e politica del paese, il “mito” della magistratura rossa e politicizzata ha sostituito la ragionevole analisi critica necessaria sulla partitocrazia e sullo stra-potere dei partiti. Una metastasi diffusa nel corpo dello Stato che abbraccia e collabora con poteri massonici e mafiosi con danni ingenti per le finanze del paese.

    Il messaggio iniziale del movimento prevedeva che il “solo essere indagato” costituisse ragione di allontanamento dalla politica. Cinque anni di lavoro istituzionale, in Parlamento e nelle amministrazioni locali, hanno dimostrato la facilità con la quale si può diventare oggetto di indagine. E’ sufficiente la denuncia di un avversario politico; è sufficiente non aver rispettato, o diversamente interpretato, qualche passaggio delle complesse leggi che regolano le istituzioni locali. Il sistema illegale creato dai partiti, oggi, assicura l’impunità (con al prescrizione o con il patteggiamento) ai veri reprobi, ma, contemporaneamente, sottopone le persone oneste a essere facile bersaglio di accuse anche infamanti e strumentali. Sul piano giuridico queste saranno smontate – nel tempo, – ma sul piano politico e mediatico, esse raggiungono l’effetto di delegittimare un avversario nell’immediato.

  3. Rapidità del cambiamento

    la velocità con la quale gli eventi si sono sviluppati (perdita di fiducia nei partiti, crescita del movimento, ostracismo verso lo stesso da parte dei media, il rigetto e la delegittimazione) ha comportato azioni immediate sempre nel breve periodo, alternando la creazione di progetti politici alla difesa della propria identità. E’ mancato concretamente il tempo per mettere in atto i passaggi che sono tipici della realizzazione di un progetto che si prefigge di transitare un sistema “obsoleto” a uno nuovo (analisi dell’esistente, progettazione del futuro, definizione delle fasi di transizione da un sistema all’altro, sviluppo culturale per prepararsi al nuovo modello). Ma la definizione delle strategie necessarie a questo scopo non può essere delusa ulteriormente.

  4. Principi e Regole sono la stessa cosa

    il parto del non-statuto e del regolamento attraverso lo strumento della rete è tanto nobile ed equo, come intento, quanto insidioso e portatore di una ingenuità profonda: credere convintamente che le Regole e i Principi siano la stessa cosa.
    Non lo sono; un principio, per quanto nobile e giusto, è un desiderio e un obiettivo da raggiungere; una Regola è uno strumento (implicante atti e azioni necessarie) con il quale cercare di perseguire il Principio. La necessità di darsi delle regole e uno statuto ha prevalso sull’analisi delle conseguenze che questo avrebbe prodotto nel tempo e se questi strumenti si sarebbero rivelati adeguati alla realtà politica.Si pensi, per esempio, alla improvvisa corsa alle modifiche statutarie necessarie dopo le rivendicazioni degli “espulsi”. Quante sono le “magagne” che il movimento ha dovuto affrontare per non aver ancora avuto il coraggio di affrontare la necessaria riforma di questi strumenti?Ma ci sono molte altre questioni in ballo dove i “principi” non trovano una corrispondenza adeguata con gli strumenti statutari e regolamentari. Facciamo un esempio, per capirci. Se affermo il principio che le persone non debbono fare carriera politica, ovvero vivere di politica per tutta la vita, sto sancendo un giusto principio. A questo ne consegue una regola che definisce il vincolo dei due mandati. Ma interpellando un po’ di amici, non sono pochi quelli a cui non è chiaro se il vincolo comprende un periodo di 10 anni in totale o due tornate elettorali, indipendenti dal periodo. La domanda importante è però questa: siamo davvero sicuri che questa regola sia la più corretta, in questo momento, per soddisfare il principio?

    Alcuni risponderanno di sì, sopratutto perché è stata una scelta della “rete”. Per quel che mi riguarda, la “rete” non è Dio calato nei circuiti elettronici e un’idea nata dieci anni fa, per quanto con le migliori intenzioni, non significa sia la miglior scelta possibile o quella più opportuna per soddisfare il principio che si vuole difendere. Quindi l’idea di fare politica per un periodo limitato della propria vita è un principio nobile e corretto. Come realizzarlo è altra questione.

    Nel 2168 (2168!) forse esisterà una società nella quale le persone lavoreranno tre/quattro ore al giorno, perché i lavori più gravosi li faranno i robot, e il resto della giornata le persone potranno dedicarlo alla famiglia, agli hobby, al contributo sociale, alla politica. Magari i cittadini faranno politica a turno, per senso di dovere civico, e non si verrà nemmeno pagati per farlo, ma far politica sarà un atto di volontariato. Ma questo nel 2168! Nel frattempo la realtà è un altra, fatto che implica tutta una serie di questioni e problemi, anche nella selezione dei candidati, che a oggi viene elusa e che possono creare non pochi problemi al movimento.

La Sfida.

Gli esempi che si possono fare sono molti e richiedono spazio e tempo per essere sviluppati. Questa breve – e incompleta, – analisi vuole concludere su un punto fondamentale. Ben venga l’elezione di Di Maio ma la nuova fase che si apre dovrà avere come obbiettivo, oltre che la questione delle prossime elezioni, anche una fase “costituente” che ri-definisca struttura, metodi e funzionamento del movimento. Non si tratta di fare passi indietro o di diventare come gli altri; si tratta di accettare la sfida di creare il futuro dando sempre più corpo ai principi da cui si è partiti, riconoscendo i limiti e le inadeguatezze di ciò che è stato fatto. Questa necessità non riguarda solamente i “vertici” ma il movimento nel suo insieme. Troppi voci acritiche aggrediscono troppo spesso chiunque ponga delle osservazioni ragionate e non strumentali sul M5S.

Pur considerando lo straordinario lavoro – e non mi stancherò mai di ribadirlo,- e l’eccezionale crescita tecnica e professionale della stragrande maggioranza degli eletti nel movimento a ogni livello (contrariamente alla vulgata di quei detrattori che sostengono da decenni il merdaio politico nostrano spacciandolo per risotto), è necessario costruire strumenti e strategie adeguate.

Occorrono organismi politici chiari e visibili, eletti e votati dalla base, che definiscano con essa gli indirizzi politici. A oggi troppe volte, ammettiamolo, su alcuni argomenti, il movimento è parso oscillante e incerto. Questo fa perdere fiducia (ed elettori), piuttosto che una posizione chiara e definita (anche se non da tutti condivisa). La posizione può essere diversa da quanto sostenuto in passato, per i motivi indicati sopra. Non sono sostenitore delle ortodossie e delle purezze, sono le differenze nei punti di vista che creano il dialogo e l’arricchimento, guardando avanti e calandosi nella realtà per modificarla.

Non ci si può concedere inciampi come il caso dell’ALDE in Europa, della Cassamatis a Genova o delle firme pasticciate in Sicilia.
Bene le votazioni on line e lo strumento Rousseau. Meno bene i contenuti messi in votazione che alcune volte sono una definizione di priorità e non di alternative. Per quanto apprezzabile sia lo sforzo di condividere un programma con gli iscritti.

Il movimento (inteso anche come sotenitori) è sempre stato troppo concentrato, in questi anni, su sé stesso e sulla propria diversa identità, molto meno sulle strategie politiche per affrontare gli avversari. Questa non è una colpa grave. Gli errori commessi sono proprio l’indice di quella “genuinità” del movimento apprezzata da milioni di Italiani che hanno compreso l’importanza di una formazione giovane che cresce piuttosto che la muffa dell’esistente sempre uguale a se stessa. Ma poi bisogna uscire dalla fase adolescenziale e diventare “adulti” e capire i tempi e i modi necessari per realizzare il cambiamento. La coerenza non è una strada dritta ma un sentiero irto di ostacoli e di deviazioni pur mantenendo lo sguardo alla meta.

Necessaria la creazione di strumenti per formare classi dirigenti e di parlamentari. Le competenze tecniche interne ci sono, e altre (lo abbiamo visto) possonogiungerese dalla parte sana della società. Si può mantenere fede al principio di coinvolgere il cittadino nella amministrazione pubblica (anche come deputato o senatore), creando strumenti di formazione continua e permanente (sviluppabili proprio con la piattaforma Rosseau e magari prendendo spunto dai MOOC universitari).

Di Maio, in molti suoi interventi, usa un termine che mi è molto caro: complessità. Questa è la chiave di lettura dell’esistente, non bisogna temerla ma affrontarla in modo adeguato. Se oggi il paese è in stallo è proprio per assenza di capacità di analisi politica e di visioni, che tengano in conto la complessità dei problemi. Le inutili semplificazioni sono tipiche dei “leader” di brevi prospettive e di interessi altri rispetto a quello dei cittadini.

Se Di Maio avrà il coraggio per mettere in atto i cambiamenti necessari, il movimento non potrà che giovarsene, e il paese di conseguenza. Un compito molto difficile lo attende. Nel frattempo spero non baci altre ampolle (o lo faccia nel suo privato): di questo non abbiamo bisogno in una Stato in cui la laicità è da sempre sofferente e marginalizzata, e i bacia-qualche-cosa abbondano.

(D.A. 05.10.17)