L’inquinamento atmosferico costa all’Italia quanto una finanziaria

L’inquinamento atmosferico non è soltanto dannoso alla salute ma anche all’economia europea. Pubblicato il rapporto della Eea. Sotto esame 14.000 impianti industriali in tutta Europa.

di Massimo Bonato

È appena terminato il G20. Tutti parlano della Cina  per i buoni propositi di riduzione dei gas pattuiti con gli Usa, e in fin dei conti con il resto del pianeta. Intanto esce però il rapporto Costs of air pollution from European industrial facilities  – an updated assessment della Eea, l’Agenzia europea dell’ambiente, e anche l’Europa ha di che preoccuparsi. Basta il solo 1% delle industrie europee a produrre il 50% dell’inquinamento atmosferico che respiriamo. E ha dei costi.
Il rapporto prende in considerazione il lasso di tempo tra il 2008 e il 2012 e ha valutato 14.325 impianti in tutta Europa.
Il direttore esecutivo dell’Eea, Hans Bruyninckx, intervistato dal «Deutshe Welle» ha affermato come sia sufficiente osservare chi occupa i primi 30 posti della graduatoria stilata, per rendersi conto che basta l’1% degli impianti industriali a produrre la metà dell’inquinamento europeo. E 26 di essi si trovano perlopiù distribuiti tra Germania ed Europa orientale, industrie che producono energia, ovvero centrali elettriche a carbone.

Lo studio non ha tenuto in considerazione le possibili violazioni delle norme vigenti sui fumi, ma soltanto il volume prodotto da ogni singolo impianto. Complessivamente però gli effetti non sono soltanto ambientali. Nel modello utilizzato dai ricercatori, sono stati utilizzati indicatori come le morti premature, costo del ricovero ospedaliero, i giorni di lavoro perduti, danni alla salute, e anche danni agli edifici e all’agricoltura.

Le stime del periodo 2008-2012 per i danni prodotti da gas industriali potrebbero essere costati al contribuente europeo tra i 329 e i 1.053 miliardi di euro. E sono cifre relative ai danni prodotti dalle sole emissioni industriali, perché andrebbero a queste aggiunte quelle prodotte dagli impianti civili di riscaldamento, il traffico automobilistico, l’impatto dell’agricoltura e un certo numero di altri processi.

Gli impianti industriali maggiormente inquinanti si trovano in Bulgaria, Polonia,Romania, Germania, Inghilterra; ma anche l’Italia della Ilva di Taranto (alla 29° posizione!) concorre tra le prime posizioni. Soltanto la centrale termoelettrica Federico II di Brindisi si colloca alla 33° posizione, seguita dalla raffineria di Gela Spa, la raffineria Esso di Augusta, la Saras di Sarroch, la centrale di Vado Ligure, quella di Fiume Santo a Sassari, che chiude i primi posti (108°) come sottolinea «Greenreport». Nella sola Italia sono stati presi in esame 1329 impianti, e i costi stimati per salute e ambiente vanno dai 25 ai 60 miliardi di euro (tra il 2008 e il 2012).

Ovvio chiedersi: e allora, quali sono le soluzioni?
Hans Bruyninckx pensa sia necessario e urgente regolare le norme sulle emissioni da un lato facendo della salute un cardine legislativo; d’altro canto approfondire gli studi anche sulle piccole e medie imprese, perché possono causare comunque danni al livello locale; ma soprattutto “de-carbonizzare” l’Europa. Se è vero che la crisi sta facendo la sua parte nel rallentare l’emissione di fumi industriali, in un periodo di estesa deindustrializzaione dei territori, è altresì vero che la maggior parte dei danni proviene proprio dal produrre energia utilizzando il carbone: non resta, secondo Bruyninckx che puntare su tecnologie più avanzate e più pulite.

M.B. 28.11.14