Marta è di Pisa, è una giovane donna dal fisico esile ma dal temperamento forte e determinato. Lavora in una cooperativa sociale e nel mondo del volontariato di Pisa è conosciuta da tutti: da anni si batte per i diritti del popolo palestinese, per la giustizia sociale e per questo non poteva non approdare anche al mondo del No Tav, così come lei stessa ha sottolineato in una sofferta conferenza stampa tenutasi al presidio di Susa lo scorso sabato 20 luglio. Conferenza stampa alla quale è giunta con i segni in viso di una manganellata che le ha spaccato il labbro ma soprattutto con una ferita più profonda, prodotta dall’essere stata molestata sessualmente la notte precedente, in Clarea, da alcuni componenti delle forze dell’ordine, mentre veniva condotta, abbondantemente soffocata dai gas lacrimogeni Cs, dal bosco all’interno del cantiere. Il suo racconto è stato affidato ad un video e oggi è divenuto puntuale descrizione rilasciata al tribunale di Torino, dove è stata convocata e dove ha incontrato nuovamente, e a detta di alcuni esperti in materia, impropriamente, il Pm Rinaudo, presente la notte degli scontri in Clarea.
A sostenere Marta in questo incontro un nutrito gruppo di donne e uomini del movimento, che si sono dati appuntamento davanti al Tribunale di Torino intorno alle dodici, dove hanno aperto striscioni e microfoni e dove vi sono stati alcuni momenti di tensione, generata dalla volontà di collocare uno striscione, come altre volte si era fatto, direttamente sulla cancellata dello stabile. Immediate sono partite alcune manganellate, che hanno ferito tre persone, una delle quali ha dovuto far ricorso alle cure ospedaliere, anche un poliziotto è caduto, prontamente aiutato a rialzarsi dai no tav che si trovavano vicino. Poi tutto è rientrato, con poliziotti e manifestanti a fronteggiarsi in attesa del ritorno di Marta dalla deposizione.
Intorno alle quattordici la giovane è comparsa sullo scalone, chiaramente provata dal colloquio ed è stata accolta con gioia e affetto da coloro che la attendevano e che le si sono stretti intorno quasi in punta di piedi.
“Quello che viene fatto a una di noi è fatto a tutte le donne della Valsusa” – questo lo slogan ripetuto più volte nella calda mattinata torinese. Slogan che certamente ritornerà nelle manifestazioni future e che richiama a una riflessione forte, attenta, coraggiosa su quanto è accaduto in questi anni, su quanto in più è accaduto lo scorso venerdi e che potrebbe accadere in vista dei futuri scenari di militarizzazione, di creazione di nuovi siti strategici in valle. Una valle che ha iniziato a coltivare questo virus in sordina, volutamente, da parte di qualcuno, in uno dei luoghi meno conosciuti e frequentati e questo grazie a un erroneo senso della politica e della partecipazione. Ma che, come per ogni virus mortale, attende solo di propagarsi ad altri territori intorno, uccidendo, in nome di un fantomatico e inutile progetto, la vita futura di chi qui ci abita. Ma soprattutto uccidendo, con il sospetto, con la creazione del nemico, la capacità di ritrovarsi, oltre le infinite sfumature dei desideri e delle speranze, identici abitanti di questa fragile e splendida Terra che ci ospita. Unica, ammalata e irripetibile.
Gabriella Tittonel 25.07.2013