L’anti-proibizionismo sulle droghe può funzionare.

La battaglia anti-proibizionista promossa dai Radicali 30 anni or sono mette finalmente radici nel mondo e riporta il problema delle droghe nell'ambito della razionalità politica.

di Davide Amerio

Dare a Cesare quel che è di Cesare! E il “Cesare” in questione si chiama Marco Pannella che insieme ai radicali, troppo spesso in solitudine e troppo spesso in anticipo sulla sensibilità del popolo, sostenne già 30 anni or sono una “battaglia” isolata contro il proibizionismo in generale e quello delle droghe in particolare. Materia questa complessa e delicata sempre affrontata con atteggiamento paternalistico dai benpensanti e in modo ipocrita dai politici fino alla produzione di leggi variamente incostituzionali.

Ieri un articolo del Fatto Quotidiano ci offre lo spunto per una ulteriore riflessione sugli effetti positivi riscontrati nei paesi in cui si sono applicate iniziative anti-proibizioniste.
La teoria proibizionista si è basata su un semplice assioma: la droga fa male (qualunque sostanza) quindi per tutelare la salute delle persone è necessario proibirne il consumo e comminare sanzioni non solo a chi la produce e la diffonde ma anche a chi la consuma perché deve essere evidente la riprovazione sociale. Fine dell’argomentazione.
Questi principi sono stati applicati per un cinquantennio, si potrebbe dire, con progressivo inasprimento delle norme e della persecuzione del “drogato”. La tesi anti-proibizionista ha cercato di contrastare questa fiducia illimitata con considerazioni logiche desunte dalla realtà e dagli studi scientifici. La questione droghe è complessa e per essere affrontata in modo efficace occorre prendere in considerazione alcuni dati di fatto:

> il proibizionismo “sociale” come impostazione è storicamente fallimentare

> il tossicodipendente è un malato che è costretto a delinquere per procurarsi le sostanze di cui necessita in quanto queste sono lasciate nelle mani del mercato nero (criminale)

> le sostanze stupefacenti non possono essere messe tutte sullo stesso piano così come i “consumatori” delle stesse vanno considerati in modo coerente (un fumatore di spinelli non può essere trattato allo stesso modo di un cocainomane o eroinomane)

> la “prevenzione” non passa attraverso la proibizione ma deve essere affrontata attraverso una corretta informazione sull’uso e sull’abuso delle sostanze

> la proibizione “regala” alla criminalità organizzata (a livello mondiale) un mercato illegale che produce ingenti capitali finanziari riciclati in corruzione e armi

> di fatto la proibizione rende la diffuzione della droga “libera” in quanto gestita dal mercato nero

> la proibizione nega introiti fiscali allo Stato di cui potrebbe beneficiare qualora il mercato fosse gestito in modo regolamentato

> la proibizione delle sostanze aumenta il prezzo delle stesse sul mercato nero. Questo aumento non è compensato dalla diminuzione del consumo in quanto la domanda di sostanze stupefacenti è di tipo “fortemente inelastico” (ovvero all’aumento del prezzo la diminuzione della quantità richiesta dal mercato è minima o trascurabile)

La perseveranza con la quale è stata seguita la linea proibizionista negli ultimi 30 anni ha ignorato questi principi e ci ha regalato una criminalità sempre più forte, carceri piene di tossicodipendenti, aumento della micro criminalità, intasamento della giustizia, occupazione eccessiva delle Forze dell’Ordine verso fenomeni di micro criminalità. Oggi il mercato delle droghe è certamente cambiato (e in peggio) sopra tutto perché la criminalità, a differenza dei benpensanti, è attenta ai propri interessi. Così oggigiorno non abbiamo solo più le sostanze tradizionali bensì pericolosissime sostanze sintetiche che si diffondono tra i giovani sotto forma di semplici pastiglie da sciogliere nell’acqua.
Senza entrare troppo nel merito, che sull’argomento sono stati scritti molti libri, i segnali che ci giungono da molti paesi, a partire dall’America, fanno ben sperare in una svolta che consideri il fenomeno dell’uso e consumo delle sostanze stupefacenti in modo razionale e articolato nei diversi aspetti. Ovviamente in Italia il pensiero “giovanardiano” continua invece a dominare nelle scelte politiche in fatto di tossicodipendenze.

La preoccupazione della difesa dei “giovani” dalla droga dovrebbe rivolgersi a migliorare i modelli di riferimento cui i nostri ragazzi dovrebbero ispirarsi. La scuola per esempio, sempre più oggetto di tagli austeri e rivolta a creare la figura del lavoratore non della persona in quanto tale; la televisione, fondata da almeno 20 anni su modelli culturali sempre più scadenti e banali per creare consumatori inebetiti privi di spirito critico; il lavoro, sempre più oggetto di precarietà invece che di progettazione individuale; il sostegno (non assistenzialismo) per i deboli, anziché l’emarginazione ai confini della società; non da ultimo la “politica” che invece dimostra loro quotidianamente come la corruzione, l’ipocrisia e il furto siano i modelli necessari per fare carriera.

Ecco se ci si volesse davvero occupare e preoccupare della sorte dei giovani e di allontanarli dalla “droga” ci sono ben altre strade su cui agire in sostituzione di principi proibizionisti fallimentari.

D.A. 04.01.15