
di Massimo Bonato
Ikal Angelei ha dedicato la sua vita alla lotta contro la diga Gibe 3, uno dei progetti più grandi dell’Africa, che interessa il Lago Turkana, in Kenya. La diga, in costruzione a monte del fiume Omo, è voluta dal governo etiope, ma ridurrà il flusso delle acque del 70% provocando l’inaridimento del lago. Una diga che mette in pericolo gli ecosistemi, certo, e tra essi, soprattutto, la sopravvivenza stessa di 300.000 persone tra le più povere del mondo.
Grazie all’attivismo di Ikal Angelei, vincitrice del Golman Prize, molti

dei principali investitori, tra cui la Banca Mondiale, la Banca europea per lo SVILUPPO e la Banca per lo sviluppo dell’Africa, hanno ritirato il loro sostegno al progetto sin dal 2011. Resta però la Cina, in relatà il maggiore investitore, che da sola è riuscita a far proseguire lavori fino a oggi, fino cioè al quasi completamento della diga. A questo si aggiunga l’interesse dei governi keniota ed etiope a sfruttare l’energia elettrica che dalla diga verrà prodotta, e che, di nuovo, con il sostegno della Banca Mondiale, dovrà potersi trasferire attraverso linee ad alta tensione sparse per i due paesi.
Con la prospettiva che la diga sarà portata a termine, i gruppi ambientalisti e gli amministratori locali stanno quindi spostando la loro attenzione dalla lotta contro la sua costruzione alla salvaguardia della popolazione, per mitigare gli effetti che su di essa questo ecomostro avrà. E di recente, attivitsti di International Rivers hanno girato un video dal titolo Come and Count our Bones: Community Voices from Lake Turkana on the Impacts of Gibe 3 Dam (“Viani a contare le nostre ossa: voci della comunità del Lago Turkana sugli impatti della diga Gibe 3). Un report con oltre cento interviste agli abitanti che vivono sulle sponde del lago.
“Pur riconoscendo e apprezzando l’interesse per la costruzione della diga e la produzione di elettricità come energia pulita, dobbiamo però anche riconoscere l’impatto che la produzione dell’‘energia verde’ avrà sulle comunità locali, la povertà destinata ad aumentare con la perdita di terre, e l’accrescere dei conflitti per accapparrarsi i pochi pascoli e la poca acqua rimasti – dice Ikal Angelei. – L’acqua che le centrali usano è acqua irrigua, che serve ad ampie piantagioni. Perdità di terre e di acqua non faranno che esacerbare la povertà in cui già vivono le popolazioni indigene”.
Le piantagioni di canna da zucchero e di cotone richiedono infatti grandi risorse idriche, le stesse che verranno però ora intercettate dalla diga Giba 3, deviando il naturale corso del Fiume Omo verso il Lago Turkana.
M.B. 6.2.15