
di Davide Amerio.
Si rincorrono notizie sulla svalutazione dell’euro rispetto al dollaro e, per alcuni, pare questa la miglior notizia possibile per la nostra economia. Già si inneggia alla ripresa, all’uscita dalla recessione… trullallero trullallà. Ma le chiavi di lettura sono sempre un po’ più complesse di quanto offerto dall’euforia governativa.
Il valore del cambio ha un rapporto stretto con la Bilancia dei Pagamenti, ovvero del suo saldo come differenza tra le esportazioni e le importazioni. Se le prime superano le seconde il saldo è positivo e l’economia se ne giova. Prima dell’euro ciascun paese era sovrano sulla propria politica monetaria e poteva agire con questa per favorire le proprie esportazioni. La “svalutazione” era lo strumento con il quale i governi agivano per rendere meno costosi i propri beni sul mercato estero quindi più concorrenziali.
Come osservano alcuni economisti [1] l’euro non appartiene a un paese solamente bensì è la moneta di una intera area “valutaria” composta da paesi che hanno relazioni di scambio tra di loro (nella stessa area, con la stessa moneta) e verso l’esterno (altri paesi con altra moneta).
La svalutazione dell’euro comporta un vantaggio nelle transazioni con i paesi fuori dell’area euro (per esempio tra euro e dollaro), mentre al suo interno le operazioni di scambio rimangono soggette ad altre dinamiche di concorrenza. In questo caso una economia può essere forte all’interno dell’area valutaria (con una Bilancia dei Pagamenti positiva) ma subisce gli effetti della svalutazione anziché trarne vantaggio.
I recenti dati forniti dall’ISTAT per il mese di gennaio 2015 confermano questa situazione [2 e 3]:
Flessione per l’Export | – 2,5% | |
Contrazione vendite verso mercati UE | – 2,6% | |
Contrazione vendite verso mercati extra UE | – 2,4% | |
Aumento per l’Import | + 1,0% | |
Contrazione acquisti dai paesi extra UE | – 0,4% | |
Aumento acquisti dai paesi UE | + 2,0% | |