
di Valsusa Report
In mare o in terra, l’importante che ci sia un ex-pozzo di trivellazione petrolifera. Emergeva già nel Controvertice No Tav Francia Italia per parola di Tino Balduzzi [QUI L’INTERVENTO VIDEO] dove specificava una consuetudine, talmente logica che nessuno vi ha mai fatto caso. La pressione fiscale in Italia tende le ditte al lavoro nero. Le giuste certificazioni dello smaltimento rifiuti obbligano a bilanciare entrate e uscite dei materiali, tanto lavorato, tanto smaltito. E allora il cosiddetto “nero”? Va smaltito illecitamente. Le terre di scavo, in cave compiacenti e i liquidi? Ecco forse arrivare l’intuizione, i dismessi pozzi petroliferi, milioni di litri nascosti nelle viscere della terra. L’Italia dal conto del fabbisogno produce per estrazione il niente in confronto a quello che importa, i nostri pozzi dal punto di vista energetico non servono a niente, se non li si usa per altro. Ma è sempre così? Speriamo di no, intanto due casi sorgono alla luce, il pozzo VegaA nel Canale di Sicilia e il pozzo Costa Molina2, ubicato in agro di Montemurro (PZ).
Il giacimento Vega, localizzato nel Canale di Sicilia nella parte prospiciente la costa della Provincia regionale di Ragusa, e situato ad una profondità di 2400 metri sotto il livello del fondale marino, ricade nella concessione di coltivazione denominataa “C.C6.EO”, intestata alla società Edison, si estende su una superficie di 184,8 km quadrati, autorizzazione con Decreto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato il 17 febbraio 1984. Nel giacimento Vega vi è VegaA la più grande struttura di estrazione off-shore presente in Italia costituita da una torre reticolare alta 140 metri con otto colonne collegate da traversi e diagonali. Da un’inchiesta partita dal ricorso al Tar Lazio delle asssociazioni ambientaliste, Greenpeace, Legambiente e Touring Club, nei confronti dei ministeri dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero dello Sviluppo Economico, viene fuori che tra il 1989 e il 2007 sono stati illecitamente smaltiti 500 mila metri cubi di acque inquinate con metalli, idrocarburi ed altre sostanze. L’accusa nel conseguente giudizio è di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”.
In un lunghissimo processo, che rischia la prescrizione, viene messo in evidenza, che la piattaforma VegaA trasferiva acque contaminate alla nave Vega Oil che illegalmente le iniettava in un pozzo petrolifero sterile, alla profondità di 2.800 metri circa distante 20 km dalla costa. L’incredibile necessità di questa operazione la si riscontra quando nel 2012 il Ministero dello Sviluppo Economico concede una proroga alla continuazione di questa attività. Il processo al traffico illecito di rifiuti era iniziato nel 2007 i documenti ISPRA che accertano i fatti sono del 2010. Come è possibile che la proroga dia la possibilità di ampliare il campo estrattivo e costruire VegaB.
Nel ricorso al Tar si sottolinea anche che “sarebbe il caso di ricordare che ai sensi dell’Art. 64 della Legge 613/1967, il concessionario – decorso il periodo trentennale – ha diritto ad una proroga di dieci anni se ha eseguito interamente il programma di coltivazione e se ha adempiuto a tutti gli altri obblighi derivanti dalla concessione – e ancora – la proroga è disposta alle stesse condizioni della concessione originaria” come riportato [QUI ALLEGATO IL RICORSO] il campo Vega non è stato mai completato, anzi la sua produzione estrattiva nel tempo è passata da 75000 barili/giorno stimata a 7000 barili/giorno. La proroga viene ampliata dallo stesso Ministero che è stato portato in causa.
L’inquinamento c’è? le carte dell’ISPRA [QUI IN ALLEGATO] definiscono “la struttura geologica del pozzo V6 prevalentemente di tipo dolomitico, soggetta all’erosione carsica e caratterizzata da elevato grado di fratturazione, quindi molto permeabile ai fluidi” ma vi è di più la ditta che esegue i lavori probabilmente ne era a conoscenza, infatti l’ISPRA dice “la presenza di strutture tipiche di fenomeni carsici fu confermata nel corso delle prime indagini in cui furono eseguiti e studiati carotaggi che evidenziarono terre rosse, brecce di collasso, tracce di vacuoli” e sentenzia nella relazione agli atti che “permette di presumere che sia possibile, attraverso formazioni rocciose carbonatiche limitrofe, il trasferimento degli inquinanti immessi con i fluidi in unità geologiche adiacenti, a loro volta interessanti eventuali falde acquifere, sedimenti e acque marine – ed ancora – l’immissione in pressione dei reflui di lavorazione e acido cloridrico per ampliare la capacità di contenimento, potrebbe inoltre aver favorito la migrazione degli inquinanti verso altre strutture geologiche”. Un danno valutato in 67.640.280 euro più i viaggi di navi cisterna dalla zona Vega alla costa per lo smaltimento. Ditte Edison S.p.A. E Fratelli Cosulich S.p.A.
In terra assistiamo ad un altro episodio, a Viggiano si scopre che con un sistema di sms gli sforamenti di emissioni nocive venivano racchiuse in sforamenti casuali e quindi non prescrivibili a danni strutturali evidenti come nel caso Ilva. Gli inquirenti hanno così intercettato un sistema che danneggiava il suolo. Per la legge di concessione, i pozzi esausti possono essere riempiti con liquidi valutati non nocivi, ma se le emissioni erano nocive va da se che i liquidi immessi nei pozzi petroliferi lo sono anche loro.
Il NOA rileva così il “traffico illecito di rifiuti” centinaia di migliaia di tonnellate di liquidi contenenti metidieanolammina (MDEA) e glicole trietilenico, venivano smaltite come acque di produzione e iniettate nel pozzo Costa Molina2, nella zona agro di Montemurro(PZ), a nulla sono valse le migliaia di segnalazioni di pastori e agricoltori della Val d’Agri, come in Valsusa non ascoltate. Studi, rilevazioni e dossier vedono nei fatti il riemergere di inquinanti e di scarti di estrazione e lavorazione degli idrocarburi, un pastore in diretta a Piazza Pulita dice “in risposta all’acqua nera che esce dalla falda mi hanno risposto che derivava dagli scarichi delle auto che passano sulla strada adiacente al fondo, ma da quella strada ci passo io e chi va nei campi, non è un’autostrada”, anche ad un caseificio è stato bloccato il prodotto formaggio DOP per l’inquinamento dell’acqua di falda usata per bagnare il foraggio delle sue mucche. I dati venivano sistematicamente smentiti dall’Eni e dalle autorità pubbliche, si perchè solo gli enti autorizzati possono dire se e come ci sono inquinanti, gli studi privati hanno rilevanza, se ascoltati, solo nelle sedi di tribunale, cioè bisogna fare causa all’Ente. Nell’inchiesta le certificazioni vengono definite “false”.
Così il rifiuto pericoloso diventa innocuo, e assume un costo di smaltimento di 33 euro a tonnellata anziché di 90 fino a 160 euro per tonnellata. I “codici Cer” alterati hanno così permesso in un solo anno di nascondere 854mila tonnellate di liquidi inquinanti, presumibilmente derivanti dagli impianti, spetterà dopo le interrogazioni dei 6 dipendenti messi a giudizio scoprire se gli inquinanti derivino anche da altre zone o ditte che hanno smaltito illecitamente i loro liquidi inquinanti. Un risparmio di 100 milioni di euro per l’azienda; che i pm indicano espressamente come “il principale beneficiario dell’ingiusto risparmio conseguito”.
Quando è notoriamente possibile che degli illeciti si compiano, come appunto il reinserimento nei pozzi petroliferi esausti, perchè promuovere leggi che ne facilitano il delitto?, nei reati ambientali non esistono le cautele dalla reiterazione?. Il buon senso dice che probabilmente quei liquidi devono essere smaltiti in modi diversi che inseriti nel suolo, probabilmente perchè anche se a norma di legge forse sono comunque inquinanti e nocivi per la salute pubblica. A quando i facili profitti saranno ridotti nel nome della salute del cittadino?
V.R. 5.4.16