
di Fabrizio Bertolami.
Dipingere l’Iran come “oggetto geopolitico” è quindi piuttosto semplice.
Ciò può avvenire quindi attraverso l’uso di metafore, ovvero “mezzi che trasformano il non familiare in qualcosa di consueto” (Dell’Agnese); vere e proprie “immagini mentali” vengono costruite tramite l’uso di semplici sillogismi (Ahmadinejad è un “nuovo Hitler” quindi il Nucleare Iraniano porta ad un nuovo Olocausto) o traduzioni distorte dal Farsi (“spazzare via Israele dalle mappe geografiche”) portano a costruire una immagine definita ed una sola dell’Oggetto Iran.
Volenti, o nolenti, quello che accade è che “una certa idea di Iran” viene veicolata attraverso i media e non altre.
Per dirla ancora con le parole di Dell’Agnese “Il centro della questione non è cercare di capire cosa sia vero e cosa sia falso, ma quello di comprendere il processo di costruzione” ed evitare di aderire a certi costrutti logici in maniera acritica.
La decostruzione dell’informazione tradizionale e la contemporanea ri-costruzione di un senso più ampio, tramite le molto più ricche fonti informative reperibili in rete, è un processo per cui può però accadere di comprendere la situazione come antitetica a quella diffusa dalla informazione mainstream o almeno ben più complessa e dall’esito ottimale non ben definito.
Come detto Internet permette l’approfondimento di qualsiasi argomento o quasi e basta infatti digitare “nuclear Iran” per ottenere 29.100.000 risultati: 29.100.000 modi di “farsi un’idea” di questo argomento.
L’ottenimento delle informazioni aggiuntive tramite la rete può avvenire però a patto di conoscere almeno un’altra lingua (preferibilmente l’inglese). Tutti o quasi i maggiori quotidiani mondiali hanno in rete una versione in lingua inglese del quotidiano stampato, con aggiornamenti frequenti e buona parte dei blog di giornalisti e ricercatori internazionali è in quella lingua. Inglese e internet sono ormai patrimonio di buona parte di giovani italiani nella fascia 13-30 ed in maniera minore anche in quella più ristretta 30-50 che però fruisce in modo più assiduo delle informazioni diffuse dalla carta stampata.
Fondamentale, nell’ambito della comunicazione, è l’opera di “gatekeeping” (letteralmente “portieraggio”), rappresentata dalla concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione in pochi gruppi che determina quali delle tante notizie lanciate dalle agenzie ogni giorno meritino di essere diffuse e approfondite. Il Gatekeeper decide appunto a quale delle varie notizie aprire le porte dell’informazione verso il pubblico. Chiaramente il processo è guidato dai valori e dagli obiettivi di chi le diffonde e dalla necessità o meno che certe informazioni vengano diffuse.
Al contrario di quanto accade all’estero, dove la politica estera trova sempre un discreto spazio sulle pagine dei quotidiani, in Italia certi argomenti sono meno presenti ; un caso particolare è rappresentato da Limes che è l’unica rivista italiana esclusivamente dedicata alla geopolitica diffusa quasi capillarmente nelle edicole. Se si aggiunge poi che, come detto, i media tradizionali hanno proprietari certi, il cui coinvolgimento con il potere è evidente o presumibile, si può immaginare come le opinioni da essi veicolate non possano non essere influenzate dagli scopi del potere stesso. La molteplicità dei siti sull’argomento reperibili in rete, fatti salvi i siti ufficiali dei quotidiani esteri, rende invece difficile l’attribuzione della paternità dell’informazione e gli eventuali interessi che si celano dietro di essa.
Il “collages informativo” composto da porzioni di informazione prelevate da questo e da quel sito o blog e confermate tramite triangolazione (la verifica contemporanea di una informazione dubbia su più fonti:siti ufficiali, agenzie e quotidiani on-line, il sito in questione ed altri siti in rete) delinea una situazione del tutto nuova. Potremmo dire che aumentando e differenziando il numero delle fonti informative e diminuendo in esse la quota di condizionamento patente o latente esercitato dal potere di riferimento si arriva a “scrivere” la propria visione dell’argomento. Non è ovviamente possibile accedere a tutte le fonti disponibili sull’argomento ma la sola ricerca del termine “Iran”, o “guerra all’Iran” su un motore di ricerca rende bene l’idea di quanto sia popolato il dibattito sull’argomento lontano dalle telecamere o dalle prime pagine che invece propongono una sola immagine polarizzata.
Per molti versi infatti la diffusione di notizie riguardanti l’Iran si inscrive in quelle che la moderna strategia militare chiama “spy-ops” o “psychological warfare” ovvero operazioni di “conquista delle menti”. In assenza di una idea specifica su un argomento si presume che un cittadino sia più incline a sposare le idee ripetute più spesso e su più canali informativi meglio se ritenuti “autorevoli”. La ripetizione di clichè e stereotipi, poi, determina la plausibilità delle continue informazioni sul tema e le inscrive in un panorama cognitivo e simbolico che si rafforza ad ogni successiva nuova notizia. Questo processo viene definito “framing”
Ciò che viene “raccontato” diviene , per dirla con O’Thuathail, “l’unico reale possibile” e su questo vengono costruite le motivazioni che legittimano l’agire, se necessario anche con la forza. Se oltre a questo aggiungiamo che l’informazione “altra” da quella ufficiale viene bollata come “complottista” se non addirittura di appoggio o di matrice filo-terrorista, il quadro si completa con la demonizzazione non solo dell’avversario ma anche dei suoi difensori e alleati.
L’Oggetto geopolitico Iran è tornato sui giornali, tra le notizie di politica estera, dopo una lunga assenza. Negli anni ’80 era genericamente, per gli italiani, il primo termine della guerra Iran-Iraq sebbene la sua visibilità fosse amplificata dalle notizie sullo Shah, la sua consorte Fara Dibah e le loro frequentazioni italiane.
I rapporti tra l’Italia e la Repubblica Islamica si mantennero buoni nonostante la presa del potere da parte di Khomeini nel ’79 e d’altronde l’Eni ha sempre avuto, dal dopoguerra in poi, rapporti commerciali e di estrazione nel golfo persico, sia con l’Iraq che con l’Iran e la FIAT vi possedeva uno stabilimento fino agli anni 50.
Dal 2003 prima e, con più vigore, dal 2005 l’Iran è stato scelto come uno dei punti caldi (hot spot) della politica internazionale grazie anche al suo inserimento tra i paesi facenti parte dell’asse del male e presunto “stato canaglia” da parte dell’amministrazione Bush le cui tecniche sono state ben descritte nel saggio “Rogue State” di Claudio Minca (vedi Bibliografia).
La stampa italiana ha da allora in poi seguito frequentemente tutte le vicende legate a questo paese.
E’ un tema che appare e scompare dalle prime pagine, passando per le pagine interne, proposto con un certo timing, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, ormai, mondiale, circa la presunta volontà di dotarsi di armi nucleari da parte di Teheran.
I commenti da parte degli attori della politica nazionale si inscrivono nell’ambito della fedeltà al Patto Atlantico (NATO) e sono pertanto concordi con quelle diffuse dai quotidiani occidentali. Secondariamente, per mantenere sottotraccia l’attenzione sull’argomento, vengono diffuse e commentate notizie di costume sulla società iraniana. Il tratto comune è la caratterizzazione negativa che si deduce da esse: l’Iran è l’ennesimo paese brutale e oscurantista che viola le libertà dei suoi cittadini e vuole imporre il suo potere su tutto il mondo.
Nelle immagini e nei racconti sull’Iran sono ben rappresentati tutti gli stereotipi ben descritti e tipizzati da Edward Said nel suo celebre saggio,”Orientalismo” quindi, generalmente, le donne vi vengono rappresentate velate ma orgogliosamente “contro” (ricordiamo anche il film a fumetti, ”Persepolis”), vengono enfatizzate le immagini di masse urlanti durante i discorsi dei leader politici e religiosi, le parate militari, servizi sul come i giovani iraniani non possano vivere le normali abitudini dei loro corrispettivi occidentali.
I quotidiani on-line nazionali riportano generalmente più notizie sull’argomento e su più giorni ma non esistono, come su alcuni quotidiani esteri, link a sezioni monotematiche sull’intera vicenda, segno questo già di per sé evidente sulla reale volontà di delineare un quadro chiaro in cui inscrivere una politica nazionale sull’argomento. Capita spesso, infatti, che informazioni errate vengano diffuse con enfasi ed in maniera capillare e pervasiva dai titoli dei giornali e dei TG salvo poi essere smentite o “precisate” giorni dopo nelle pagine interne o in trafiletti affogati in articoli di altro genere. E’ questo un metodo che permette ai mezzi di informazione di poter mantenere la loro aurea di “correttezza” diffondendo però al contempo un’informazione distorta nel messaggio e nella modalità. In conclusione nella definizione dell’Oggetto Iran, quindi, entra in gioco sia ciò che viene menzionato esplicitamente sia quanto viene taciuto, concordemente con quella che viene definita “l’agenda” della politica estera delle principali potenze mondiali che formano la cosiddetta “Comunità internazionale”.
La retorica americana ha fatto largo uso dei media nei paesi arabi per ottenere l’appoggio delle opinioni pubbliche di quei paesi prima della guerra in Iraq,così come anche questo paese ed i suoi sostenitori hanno fatto per dipingere l’intervento americano come ingiusto ed immorale. Infatti, come Ó Tuathail and Dalby hanno già affermato :”… la Geopolitica satura la vita di ogni giorno di Stati e Nazioni. I luoghi della sua produzione sono multipli e pervasivi,sia in “alto” (come un memorandum di sicurezza nazionale) che in “basso” (come le pagine di un giornaletto popolare), sia “visuali” (come le immagini che muovono gli stati ad agire) che “discorsivi” (come i discorsi che giustificano le azioni militari)…”
I media sono perciò il veicolo fondamentale,in una società moderna, per trasmettere ed istituzionalizzare idee,immagini e propositi di stampo geopolitico. Il punto focale del testo citato è rappresentato dal concetto di “Language Engineering” ovvero dell’utilizzo del linguaggio e delle sue sfumature per veicolare concetti a proprio favore facendo leva su elementi già condivisi con l’uditorio o creandone di nuovi utilizzando espressioni accuratamente studiate dagli esperti del settore,i cosiddetti “spin doctors”.
In questo processo i media trasferiscono ed amplificano di questi concetti preconfezionati verso l’opinione pubblica che li rende propri e familiari ma in una maniera tale per cui, vista la continua produzione di nuovo lessico sui diversi argomenti da parte delle relative fonti, i giornalisti si ritrovano ad essere meri trascrittori di concetti anziché reporter di notizie.
Neologismi quali “guerra umanitaria”, “danni collaterali” o “missione di pace” hanno riempito pagine di giornali e sono diventati comuni nel lessico quotidiano ma attorno ad essi continuano a svolgersi aspri dibattiti non solo di carattere semantico ma anche di stampo politico e filosofico. Battezzati spesso come propaganda, svolgono il loro specifico ruolo nel permettere alle istituzioni che li creano e li propagano di dissimulare concetti complessi e di ardua trattazione in regimi di stampo democratico, con termini, o associazioni non aggressive di termini, che richiamino immagini legate ad una moralità giusta o perlomeno attenta ai valori umani.
In conclusione, prima di poter quindi valutare “la questione nucleare iraniana”, e tutte le sue ricadute, è necessario comprendere quanto di quel che conosciamo sull’argomento ci è stato “infuso” senza che se ne sia consapevoli.
L’accettazione acritica di certi giudizi può infatti portare ad una comprensione distorta da principi di ordine morale che sono in realtà l’ultima preoccupazione di chi decide realmente le sorti della politica internazionale.
Bibliografia:
- Antonsich Marco , Critical Geopolitics:La Geopolitica Nel Discorso PostModerno 2000
- Berger Peter & Luckmann Thomas, La realtà come costruzione sociale 1966
- Autori Vari , Limes L’Iran tra maschera e volto 5/2005
- Dell’Agnese Elena, Geografia Politica Critica 2006
- O’ Tuathail Gearoid, Critical Geopolitics 1994
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Minca Claudio , rogue State in Rivista Geografica Italiana 110 2003
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Said Edward, Orientalismo 1978