Iran: cosa sappiamo veramente? Un’analisi geopolitica – parte I

La questione del nucleare iraniano nasconde una situazione ben più complessa. Un'analisi sulla situazione geopolitica e sulle chiavi di lettura.

di Fabrizio Bertolami.

La cosiddetta questione del “Nucleare Iraniano” è sicuramente una delle vicende Geopolitiche più interessanti degli ultimi decenni; essa è infatti legata contemporaneamente a diverse istanze economiche, politiche, militari e strategiche. Parimenti all’altra questione nucleare, quella Nord Coreana, porta con sé vaste implicazioni per molte delle nazioni del mondo, ognuna delle quali per motivi differenti, con esiti possibili differenti e su diversi piani di lettura esclusivi o contemporanei.

Il caso rappresentato dalla guerra scatenata all’Iraq sulla base di un suo presunto possesso di armi di distruzione di massa, rivelatesi poi inesistenti, rende più difficile un’azione unilaterale da parte delle potenze occidentali non appoggiate oggi come all’ora dalle proprie opinioni pubbliche interne.

E’ necessario un più lungo lavoro di convincimento e la fornitura di prove, o pretesti, più forti per muoversi ad una guerra che potrebbe rivelarsi ben più impegnativa di quella dichiarata a Saddam Hussein.

La pressione sull’opinione pubblica nazionale ed europea viene mantenuta costante tramite una copertura mediatica sull’argomento che presenta dei picchi in occasione di eventi particolari come riunioni dell’AIEA, test missilistici iraniani, discorsi del presidente Rohuani o del Leader supremo Khamenei ma vengono riportate anche questioni prettamente interne come esecuzioni di condannati a morte, incidenti aerei e ferroviari, contestazioni studentesche o fatti di costume; difficilmente l’Iran ne viene fuori con un immagine positiva.

Il modo in cui viene trattato questo argomento presenta i tratti di quella che il lessico della “Geopolitica Critica” definirebbe un “discorso” : una sequenza di immagini mentali, sillogismi, affermazioni perentorie e metafore per descrivere l’Iran.

Come sostiene Claudio Minca nella sua analisi in merito ai cosiddetti “Rogues States”, esiste un “oggetto geopolitico chiamato Iran” o meglio, ne esiste uno per ogni paese che abbia rapporti con esso.

La fine della Guerra Fredda, infatti, sgretolando rapporti consolidati da 60 anni almeno, ha messo ogni nazione di fronte all’esigenza di costruire nuovi rapporti in politica estera per poter far fronte al futuro.

Ecco allora che luoghi i cui nomi sono rimasti sepolti per decine di anni sotto la polvere calata sulla Storia, e quindi sulla geografia, ritornano di attualità : Baku, Teheran, la Crimea, Aden, Malacca. L’attenzione sull’Iran si situa in questo quadro.

Nonostante quanto sostenga Thomas Friedman, il mondo infatti “non è piatto” e l’Iran è proprio una di quelle espressioni geografiche e culturali che non lo rendono tale.

Ruotando una cartina del mondo dalla sua posizione canonica, con l’Europa al centro, ad una, diciamo così, “Persianocentrica”, il mondo appare totalmente diverso e forse più comprensibile anche agli occhi di un osservatore occidentale.

geopol Iran

Molti sono i paesi interessati alle sorti della Repubblica Islamica, anche perché dalla possibilità di ottenere una parte dei suoi vasti giacimenti di gas e petrolio dipende il loro sviluppo e la propria sopravvivenza.

I motivi per cui l’Iran vuole dotarsi della tecnologia nucleare sono molteplici, complessi e a volte intrecciati tra loro:quello che emerge è che, a differenza di quanto accaduto con l’Iraq, la presenza di un programma nucleare conclamato non ha portato ad una guerra ma bensì ad una lunga ed estenuante trattativa.

La Geopolitica Critica rivolge il suo sguardo al “come” vengano prodotti gli eventi geopolitici analizzando appunto le modalità attraverso le quali le forze in campo modificano o cercano di modificare le relazioni internazionali secondo i propri progetti e come questa operazione costituisca una “costruzione di senso” per i cittadini e per gli stessi attori geopolitici.

Autori come O Tuathail, Routledge o Dalby, per la scuola di stampo anglosassone, focalizzano la loro attenzione sulle pratiche messe in atto dai detentori del potere per descrivere la realtà ad una opinione pubblica ormai divenuta globale oltre che agli altri attori sulla scena mondiale.

Dalby, ad esempio, sostiene che il compito della Geopolitica Critica debba essere non solo l’analisi dei discorsi geopolitici dominanti ma anche di quelli alternativi che ad essi si contrappongono poiché entrambi concorrono alla formazione della realtà sociale. Egli nota però che ogni discorso che si afferma sopprime necessariamente altri discorsi non necessariamente in virtù di una maggiore forza esplicativa o inattaccabilità logica ma, spesso, per la maggior forza con la quale esso viene reiterato e sostenuto.

L’apporto di O Tuathail alla riflessione post-moderna di stampo geopolitico è, tra gli altri, che l’analisi dei discorsi di questa natura debba essere fatta tenendo sempre a mente il quadro storico più ampio e le sue contingenze sociali e politiche. Egli inoltre afferma che sia necessario decostruire i discorsi Geopolitici dominanti che tendono surrettiziamente a tralasciare alcuni aspetti delle questioni in esame per metterne in luce altri più funzionali alle esigenze delle Elite dominanti e fare anzi della Critical Geopolitics “il” nuovo discorso geopolitico dominante.

Centrali sono quindi la nozione di “discorso” già messa in luce dal francese Michel Focault, inteso come quell’insieme di pratiche che permettono la “produzione di senso” che rende “reale”quanto avviene ed in definitiva lo legittima e quella Gramsciana di “senso comune” prodotto dall’egemonia che i poteri dominanti applicano culturalmente. Il concetto di potere espresso da Foucault è straordinariamente attuale: esso è prima di tutto un discorso, ovvero una proliferazione di discorsi, guidato verso una direzione di senso piuttosto che un altra.

Citando il famoso saggio di Berger e Luckmann, ”La Realtà come costruzione Sociale” possiamo affermare che “nessun pensiero umano è immune dalle influenze ideologizzanti del proprio contesto sociale” e ciò è tanto più vero per quanto riguarda la conoscenza delle questioni inerenti “l’altro”, ciò che è “Straniero”, ciò che è diverso da Noi, argomenti, questi, centrali nei discorsi geopolitici.

In un’epoca di comunicazioni di massa come quella nata dai giornali dell’ottocento, proseguita con la radio e la televisione nel ventesimo secolo e giunta fino alla vasta diffusione di internet dei nostri giorni, molti argomenti sono ormai patrimonio di tutti e non solo di chi ha la possibilità di recarsi fisicamente in luoghi lontani; il prezzo da pagare è però l’accettazione implicita che queste informazioni portino con sé una dose più o meno elevata di distorsione, di polarizzazione, che non può non riflettere i valori di chi le diffonde e, in una certa misura, della società in cui esse vengono veicolate.

Quanto avvenuto con la Guerra nei Balcani o l’invasione dell’Iraq del 2003 o dell’Afghanistan esemplificano bene quanto detto poc’anzi : le opinioni pubbliche dei paesi che hanno aderito o meno a questi avvenimenti hanno maturato la propria posizione grazie alla massiccia dose di informazioni fornite dai Mass Media messe in atto nelle rispettive Nazioni.

Ciò introduce una definizione particolare di Geopolitica messa in luce,tra gli altri, da Joanne Sharpe che va sotto il nome di “Popular Geopolitics” ovvero l’effetto che i discorsi prodotti dalle Elite dominanti producono sulle persone comuni attraverso l’uso che le prime fanno dei mezzi di comunicazione di massa, di cui dispongono, per influenzare le seconde.

Sharpe afferma che i discorsi “Formali” o “Pratici” di stampo Geopolitico altro non sono che le ricadute a livello alto o basso delle decisioni prese dalle Elite dominanti ed è perciò importante non tanto l’analisi di questi stessi discorsi ma delle cause e degli effetti che questi discorsi creano nella realtà.

In Italia, la parzialità o meno della rappresentazione mediatica “mainstream” rispecchia l’atteggiamento della politica del paese, dell’opinione pubblica, delle necessità dettate dalle alleanze, o è frutto di una misurata equidistanza?

Un recente studio dell’ISTAT ha messo in luce come la consistente maggior parte della popolazione italiana si rivolga quasi esclusivamente alla televisione per ottenere le informazioni riguardanti la sfera della politica nazionale quella internazionale.

Una scarsa percentuale legge i giornali quotidianamente e, di questi, molti fruiscono esclusivamente della “free press” (Leggo,City, ecc..) sbocciata negli ultimi anni.

Aggiungiamo inoltre che spesso la fruizione delle notizie è fugace, basata sui titoli più che sul reale contenuto, compressa dai tempi veloci della quotidianità. Nel caso della free press, diffusissima nelle grandi città, le notizie di politica estera non appaiono neanche o sono soffocate da servizi di gossip e di cronaca.

La radio ovviamente copre la quasi maggioranza della popolazione per cui possiamo dire che ogni giorno, ogni cittadino italiano è immerso in un “brodo informativo”, somministrato tramite un continuo “info mix”, ovvero l’equivalente del “marketing mix”, tradizionale strumento del Marketing pubblicitario.

La radio lancia la notizia, la TV la amplifica, la stampa la spiega, il giorno dopo ed internet. La approfondisce. Questa è la sequenza con cui i media gestiscono il flusso informativo.

Difficilmente, però, quella che gli statistici chiamerebbero “la maggioranza degli italiani”, verifica le fonti, la loro esattezza, il reale alternarsi degli eventi e della catena causa/effetto delle informazioni che riceve, a maggior ragione se vengono dall’estero o ad esso si riferiscono.

Segue …