
di Davide Amerio
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Da un po’ di anni c’è un agguerrita schiera di storici che vuole rivisitare il mito del Piemonte salvatore nei confronti del sud ‘liberato’ dai Borboni in epoca risorgimentale. Tu cosa ne pensi da siciliano che conosce bene la sua terra?
La prima commissione antimafia in Sicilia arriva nel 1870. La prima legge che contrasta le mafie a livello di organizzazione mafiosa è del 1986! Il maxi processo. Ci sono 110 anni di differenza. La cosa curiosa è un provvedimento che scrissero due giovani Piemontesi (Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti n.d.r) che vennero mandati in Sicilia dal nuovo Regno d’Italia perché c’era il problema delle mafie. Loro si immaginavano di trovare coppole storte e quant’altro fosse simile a quella mafia ‘rurale’ che tutt’ora viene raccontata. Invece si ritrovano l’alta borghesia palermitana, medici, notai, che gli fanno notare che se i politici del nord vogliono fare ‘affari’ in Sicilia con “loro devono parlare”. Poi chiedono una cortesia: di raccontare la Sicilia così come loro vogliono e questi due ‘ragazzini’ raccontano seguendo questa richiesta e giungono in un passaggio della loro relazione a scrivere che “la mafia in Sicilia non può esistere perché il Siciliano di per sè, essendo portato a delinquere, non ha neanche l’intelligenza di mettersi assieme per fare l’associazione mafiosa”.
Questo concetto che oggi fa ‘ridere’, terrà banco nei tribunali di tutta Italia, nel Regno e nella Repubblica sino al 1986!
Una sentenza di sei anni fa a Sarzana (in Liguria) dice che la ‘ndrangheta è si una associazione mafiosa, però è ‘puro folklore’. Quindi non può essere condannata. Il concetto per cui noi Siciliani eravamo talmente bestie per non poter stare assieme a delinquere è stato un favore fatto a livello ‘culturale’ dal nuovo governo del Regno d’Italia alle mafie che poi hanno costruito tutta la loro ricchezza basandosi su una malcelata ricerca di verità. Abbiamo sempre attaccato le mafie dal punto di vista militare ma l’alta economia mafiosa non l’ha mai attaccata nessuno.
Negli ultimi 20 anni abbiamo arrestato in giro per l’Italia, dall’Emilia, alla Lombardia, alla Puglia, alla Calabria il più alto numero di mafiosi e mai come negli ultimi 20 anni le mafie si sono arricchite! In contemporanea. Non è mai stata fatta una legge di contrasto all’economia mafiosa.
Quindi abbiamo da una parte uno Stato che ci ha sempre convissuto bene, dall’altra le mafie che preferiscono farsi raccontare come qualcosa di folkloristico. Cuffaro era proprio quello: la rappresentazione culturale che le mafie volevano che noi avessimo. La coppola storta, il cannolo offerto, il bacio … alla fine sembra poco pericoloso.
E’ quello che Dell’Utri ci ha raccontato con la televisione di Berlusconi. Abbiamo visto delle fiction in cui ti appariva quasi simpatico il mafioso che uccide nell’acido i bambini. Era lo stesso tipo di racconto. E ha funzionato benissimo; quando arrivai in Emilia-Romagna sette anni fa e parlai di mafia mi guardarono come stessi parlando di alieni. Nella regione c’erano da almeno quarant’anni sentenze passate in giudicato su aziende che avevano costruito Pza Maggiore a Bologna, lo scalo dell’aereoporto, tutte le case popolari a Forlì, Modena, Reggio Emilia, aziende cui avevano ritirato il certificato antimafia in Calabria e che gestivano le discariche a Poiatica (Reggio Emilia). Però per loro la mafia erano quattro Siciliani straccioni o quattro Calabresi che parlano un dialetto incomprensibile che però se ne stavano a casa loro. Il massimo della lotta alla mafia era comprare un paio di bottiglie di ‘Libera’ (Associazione contro le mafie n.d.r.). Quindi un’idea culturale diffusa da loro (i mafiosi) che ha funzionato.
Ora la mafia è in ’tilt’, perché? Me lo ha raccontato un capo che ho intervistato tempo fa: perchè hanno difficoltà a riciclare ‘solo’ i soldi della cocaina. Hanno talmente tanti soldi che, solo in Italia, hanno problemi a riciclare anche solo il denaro che ‘guadagnano’ con la cocaina.
Quindi mi stai dicendo che hanno un problema nel riciclare il denaro sporco per la parte ‘solo’ della cocaina?
Si, poi c’è il resto: traffico droga, armi, le grandi opere… vanno in difficoltà da sette anni a questa parte perché in un momento di crisi come questo gli unici soldi che si vedono sono i loro.
Voi qui in Valle avete avuto il caso di Bardonecchia con Rocco Lo Presti che per una mentalità ‘vecchia’ si faceva anche vedere per stabilire il potere. In gran parte d’Italia i ‘sorvegliati speciali’ si sono nascosti sino a qualche anno fa. Sorvegliati speciali vuol dire che erano mafiosi condannati.
Aprivano qualche azienda a loro nome e hanno lavorato indisturbati nel nord d’Italia per quaranta anni. Lavorando con grandi aziende. Per l’Emilia, avendo curato dei lavori per l’università per i dossier sulle mafia ne so qualcosa, hanno lavorato con la cooperativa costruttori che è uno dei cardini della cooperazione rossa di Bologna, hanno lavorato con l’aeroporto, con i comuni, pur essendo mafiosi dichiarati. Non è la ‘mafia dei colletti bianchi’, che è un’altra caricatura deviante; questi erano già mafiosi prima e già condannati.
Quando giri per l’Italia ti accorgi che le stesse aziende che dovevano costruire gli inceneritori in Sicilia, progetto appoggiato dalle mafie e dalla politica, sono le stesse che ritrovi in Val di Susa, al Molin a Venezia, alla Maddalena in Sardegna. Poi quando parli di queste cose ti accorgi che le stesse aziende sono sponsor delle Università, delle feste dell’Unità, delle cooperative e quindi tu vieni tagliato fuori da ogni circuito.
Le associazioni come ‘Libera’ e le ‘Agende Rosse’ hanno un’efficacia sul territorio nella lotta contro la mafia?
Uno dei miei maestri era Roberto Morrione, fondatore di Rainews24, il quale, malato di un tumore gravissimo, continuò a lavorare fondando ‘Libera Informazione’ e si mise in viaggio alla ricerca di giornalisti di ‘frontiera’. Lui mi diceva che non bisogna essere ‘bravi’ bisogna essere ‘utili’. Se tu mi chiedi quanto siamo ‘utili’ non te lo so dire. Libera è diversa da quella che ho contribuito a fondare una decina di anni or sono (nel 1996); è diventata istituzionale, fa percorsi istituzionali. La cosa che mi sento di rimproverargli, non tanto nel sud del paese dove con i campi di lavoro fa un’azione straordinaria, ma in Piemonte, Emilia, Lombardia, mi sembra faccia finta che la mafia ancora non ci sia. Si attiva per raccolta fondi per alimentare le cooperative del sud. Torrniamo allo stesso concetto culturale dell’inizio: la mafia come un fenomeno relegato al sud. Le Agende Rosse sono legate alla personalità di Salvatore Borsellino. E lui è una garanzia.
Penso che chi fa antimafia non dovrebbe prendere fondi dalle amministrazioni pubbliche. Rischi che in qualsiasi momento cambi il governo delle istituzioni ed entrino persone che sono implicate e che dandoti del denaro ti chiederanno di non fare il loro nome da qualche parte.
Sei venuto in Val Susa e conosci la questione No Tav e la relazione del progetto AV con le mafie. Come hai vissuto questo aspetto a contatto con il movimento e i valsusini?
A suo tempo ho giocato una partita che non ha nulla a vedere con quella dei No Tav e che riguarda il piano dei rifiuti della regione siciliana; durata quattro anni fu, all’inizio, devastante perchè fummo accusati di ogni oscenità. A noi ci dissero che eravamo contro il progresso, che bloccavamo lo sviluppo; subimmo anche la pressione pesante delle forze dell’ordine mandate in casa o a parlare con i genitori. Tutti quei meccanismi che non avevano nulla di diverso dagli atteggiamenti utilizzati dalla criminalità nei confronti delle persone.
Avendo dovuto mettere in campo, in quel momento, delle azioni illegali per ratificare una ‘legalità morale’ mi sono approcciato al tema della Val di Susa con molta discrezione. Vorrei evitare di farne una questione di ‘eroi’ oppure di persone che vogliono rimanere nell’800. Perché poi, della valle, il racconto che viene fatto è questo. Si racconta come se ci fosse una banda di pazzi, terroristi – e per quelli che ho conosciuto mi viene da ridere a pensarli come tali, – e dall’altra si raccontano le stesse cose che si raccontavano su di noi. La Tav è una grande opera, con un grande budget e dove c’è budget le mafie ci hanno sempre messo il muso. Anche qui, come altrove, ci sono le aziende che partecipano alle grandi opere e che non si fanno nessun tipo di problema nell’appoggiarsi alle mafie.
Nel mio prossimo libro in uscita, dedicato al racconto delle periferie, c’è un capitolo dedicato alla Valle dove si mostra che le situazioni sono uguali da tutte le parti.
Grandi imprese economiche, grandi imprese economiche mafiose , con la particolarità qui di questa lunga resistenza civile della popolazione che è assolutamente molto bella.
Mentre quelle che ho vissuto direttamente, come nella terra dei fuochi, avevano alcuni protagonisti e su costoro verteva tutta la partita, qui ho avuto modo di capire che ogni cittadino della valle è protagonista della partita tanto quanto lo è l’uomo che va in televisone a rappresentare tutti.
Questo senso di comunità è straordinario; è quel senso che, in tutta la mia vita di militante antimafia, vorrei ci fosse in questo paese.
D.A. 23.09.14