Intervista a Andreja Restek la guerra in foto II parte

La seconda parte della nostra intervista a Andreja Restek. La guerra e le sofferenze in Medio Oriente viste attraverso l'obiettivo di una fotografa coraggiosa.

di Davide Amerio.

La seconda parte dell’intervista con Andreja Restek ci porta più in dettaglio, dentro i conflitti di cui è stata testimone con la sua macchina fotografica, e con gli articoli. Si esplora l’aspetto umano della gente, e quello politico del terrorismo, e della immigrazione. Buona Lettura.

L’autoproclamato Stato Islamico, contro cui è stata mossa guerra, ha, nelle parole dell’economista Loretta Napoleoni, svolto un ruolo “sociale” in quelle zone, ovvero ha sopperito a delle carenze tipiche di questi paesi. Come vivono, secondo te, questa situazione nei luoghi che hai visitato?

In diverse occasioni, parlando con la gente, facendo domande sul come si viveva sotto lo Stato Islamico, ho ricevuto come risposta: “almeno c’erano delle regole”.
Non si riesce subito a capire questa risposta. Noi abbiamo visto i taglia gole, crocifissioni, bambini soldato, tutte queste cose terribili.

Ora la popolazione doveva rispettare le loro rigide regole “religiose”, e però, in cambio, ottenevano strade pulite, la loro manutenzione, la raccolta dei rifiuti, etc etc 
C’era tutta una struttura diversa da come li vedevamo noi, che guardavamo questi uomini barbuti, selvaggi scesi dall’albero; c’era uno Stato funzionante, e la gente che aveva un problema si rivolgeva a loro, e ricevevano soddisfazione, anche mediante tribunali. Questo li faceva sentire protetti. Certo per le donne i problemi restavano gli stessi.

Andando a Moussul, le strade in Iran sono terribili, ma ad un certo punto trovi una strada bellissima, costruita dallo Stato Islamico. Ora la situazione è totalmente cambiata. Non c’è più lo S.I., ma trovi rifiuti da tutte le parti; la plastica viene bruciata in mezzo alla strada. 
Ecco, se è vero che rischiavi la vita, se non pagavi le tasse, o non ti convertivi, però la gente aveva la percezione di vivere dentro delle regole e in una Stato che dava delle garanzie.

Quindi un baratto: la libertà in cambio di uno “stato” funzionante ed efficiente.

Si, esattamente: per le persone il ricordo è: “si mangiava, e c’erano delle regole”.

Ho visitato molte Chiese, all’interno trovi ancora le corde appese delle impiccagioni. Intorno numerosi giubbotti antiproiettile. I monasteri erano utilizzati come luoghi di rifugio per le famiglie, perché non venivano bombardati. Lì trovi ancora i loro oggetti, vestiti, sopratutto quelli dei bambini, che sono le più grandi vittime di queste guerre; e non oso pensare cosa sarà di loro crescendo (quelli che sopravvivono).

L’occidente non prende seriamente in considerazione i pericoli che ci sono. Il rischio di radicalizzazione è alto, sopratutto in questi campi profughi, dove molti di essi provengono dallo Stato Islamico. Proprio da campi del genere sono usciti i più feroci leader dello S.I.

Togliendo la cittadinanza ai foreign fighter si è legittimata in loro la convinzione che lo Stato Islamico sia davvero il loro paese. Ma sono i governi occidentali a spingerli in questa situazione, il sistema giuridico internazionale non è pronto per gestire queste situazioni. 
Il problema è stato “scaricato” sui tribunali iracheni, ma è un atteggiamento che può provocare conseguenze peggiori. Pensiamo che, nelle prigioni turche, ci sono circa 3000 di questi fighter e la Turchia ha già minacciato di cacciarli.

Purtroppo non esiste una definizione univoca del “terrorismo”, anche perché, in questo modo, gli stati possono utilizzare il termine a loro convenienza.

Questo influisce anche sul problema delle migrazioni, e di situazioni complicate come quella libica?

La Libia non esiste. Non esiste un governo vero. Solo quello imposto da altri. Esistono centinaia di gruppi che si combattono tra di loro. Una parte consistente dell’Africa è in mano a bande di terroristi veri e propri. Lo Stato Islamico si è solamente spostato, è quieto, in attesa di riprendere le sue attività. Non c’è da cantar vittoria. In Afganistan, per esempio, è molto attivo.

Più pericoloso ancora è Al Quaeda, realtà da sui l’I.S. (già Isis) proviene. Tutte le metodologie di comunicazione, e di reclutamento, sono le stesse utilizzate da Al Quaeda in passato. Ora le cose viaggiano più veloci, con i nuovi strumenti informatici, ma il “manuale” del terrorista fu già scritto negli anni ‘30, e costituisce, ancora oggi, la base ideologica di riferimento.

In Italia si fa un gran parlare, a livello politico delle immigrazioni come possibile canale di inserimento di terroristi, qual’è la tua impressione in merito?

Molti di questi immigrati sono persone che, credo, non volessero nemmeno partire, ma sono state costrette. Alcuni che partono lo fanno per le guerre, molti altri per problemi climatici, e questo ce lo stiamo dimenticando; tra di loro certo che possono esserci quelli poco onesti o inclini al fanatismo. Ma questi ultimi viaggiano tranquillamente anche in aereo.

Parlando con persone che si occupano del business dell’immigrazione in Turchia (mafia Siriana), ho scoperto che loro ti offrono un “pacchetto” (viaggio) a diversi livelli. Se sei ricco, ti procurano anche il passaporto, e ti insegnano come ti devi comportare, ti fanno un corso di comportamento per imparare a come mimetizzarti tra altre persone.

Quindi la teoria che con i barconi arrivano i terroristi è attendibile?

Credo ci possano anche essere terroristi che giungono per questa via, ci vuole certamente un controllo su tutte queste persone che arrivano. Ma, di base, è necessario un controllo nei paesi di origine. Questo è fondamentale, anche per non alimentare la corruzione, ed evitare accordi con persone poco raccomandabili. I mercenari ci sono in tutti i mestieri. Lo Stato deve gestire in modo serio queste cose.

Le diverse forme di razzismo potrebbero quindi essere giustificate?

A me fa molto arrabbiare il discorso del razzismo: è ignoranza allo stato puro. Non si possono mettere i muri a questo mondo. E’ impossibile: anche perché tu, non sai mai da quale parte finirai e per quale motivo. Dove tuo figlio potrebbe finire un giorno.

Ai figli bisogna insegnare ad analizzare i fatti e le situazioni; quando leggiamo un titolo sui giornali, dovremmo sempre chiederci: perché? Niente di più, ne di meno. I giovani possono risalire, verificando, cercando, se una notizia è fondata o meno. Prima di condividere: le parole sono forti.

In Inghilterra ci sono molti Italiani: nessuno riflette su come ci sentiremmo se i nostri figli fossero trattati dagli Inglesi allo stesso modo, considerandoli “minori” perché nati in Italia. 
Il Mondo è bianco, nero, rosso, giallo; sono le persone a fare il mondo. Questo non vuol dire che, magari, uno di colore ti può stare antipatico; non bisogna essere “buonisti”: bisogna essere critici, e razionali.

Non è nemmeno accettabile che se uno è immigrato, e arriva, qui, tutto gli sia dovuto. I vantaggi vanno anche guadagnati. Io sono arrivata dalla Iugoslavia e mi hanno sputato in faccia. In quel momento ho dovuto decidere: potevo iniziare a odiare tutti gli Italiani, oppure potevo darmi da fare e dimostrare chi ero. Certo, però, che mi è stata data la possibilità di farlo. Mi sono tirata su le maniche, è un duro lavoro. Ad alcuni piaccio, ad altri molto meno. Ma ho la mia identità, come persona. Ho imparato la lingua, partendo dal principio che nulla mi era dovuto. Così come in una famiglia, esistono nella comunità diritti e doveri. Questo è però difficile quando lo Stato è prevalentemente governato da dei ladri. Non può un padre, che va a prostitute, pretendere poi che il figlio si comporti bene.

Tocca a noi sforzarci, e comportarci senza prevaricare sugli altri. Siamo tutti collegati, ognuno merita rispetto. Anche nell’ambito del lavoro, quando lo svolgiamo con cura e passione. Te la puoi prendere, se qualcuno manca ai suoi doveri, con la persona, non con il colore della pelle, o per la sua provenienza.

Come valuti il lavoro dei tuoi colleghi nel documentare tutte questi situazioni di cui abbiamo parlato?

E’ una domanda difficile. Per esempio, nell’ambito della fotografia, ciascuno fa il lavoro sulla base della propria sensibilità, ed esperienza. Sono la sensibilità e il vissuto che ti porta a lavorare in un certo modo, indipendentemente dal fatto di essere uomo o donna.

Sono convinta che noi abbiamo non l’ordine, ma il “disordine” dei giornalisti. Non si può, per fare un esempio, scrivere normalmente di moda e poi, visto che c’è la notizia, e il relativo interesse, mettersi a scrivere di terrorismo. E’ un argomento troppo serio. 
Nella vita delle persone le figure educatrici sono genitori, insegnanti, e, purtroppo, i giornalisti. Questo lavoro deve essere preso molto sul serio, con grande rispetto. A volte sono gli stessi editori a spingere nel fare giornalismo in un certo modo.

Se tutti noi tornassimo a lavorare con serietà ed etica, potremmo riuscire ad influenzare, nel complesso, il modo di porre le notizie. Anche i lettori sarebbero più felici, e apprezzerebbero. Chi legge vuole essere informato con la verità.

Mi è capitato recentemente di proporre un articolo a un editore importante, in seguito all’uccisione di un sacerdote. Ho spiegato che erano tutti vivi, e che stavano facendo cose importanti, in quel posto. Ma niente, non si parlava più dello sgozzamento, del sangue, e allora il pezzo non interessava. Il prete è vivo, ma non importa a nessuno dell’informazione.

L’esperienza più bella, e quella più difficile, di questo tuo percorso lavorativo e umano?

Belle tante. Non ostante il contesto difficile, ho incontrato tanta di quella umanità che non ti puoi immaginare. Quando la persona che non ha niente, ma proprio niente di niente, ti accoglie nella sua tenda; stai con loro, vivi con loro, e quando parti, ti da il barattolo di melanzane da portare alla tua famiglia; oppure quando ti rivedono, e pensavano di non rivederti mai più, e solo perché ti hanno visto (e non sanno nemmeno ancora che sei lì per un progetto che porterà loro un po’ di denaro), corrono nel prato a raccogliere fiori per donarteli, e ti corrono incontro, ti baciano e ti abbracciano e… [qui Andreja si emoziona veramente parlandone, e dobbiamo fermarci un momento con l’intervista n.d.r]

E’ davvero una emozione incredibile. Perché sai che non hanno niente. Certo anche tra di loro ci sono le persone odiose. Ma la maggioranza sono persone che ti porti nel cuore per sempre.

L’esperienza più brutta è stata un’intervista con dei trafficanti di esseri umani, e di organi. E’ stata una delle esperienze più difficili che ho fatto. Vendevano anche organi di bambini. Questo tipo mi raccontava nel dettaglio come uccidevano le persone, come le tritavano. Non riesco più a mangiare la carne tritata. Camminare in luoghi dove il terreno è tappezzato di resti umani. Sono esperienze, e ce ne sono, difficili da dimenticare.

Chi fa questo mestiere, o lo vuol fare, dovrebbe capire che per farlo è necessario molto studio, prima. Bisogna capire i fatti e gli sviluppi della geopolitica. Ci vuole qualche anno, e poi si può fare questo lavoro; se si vuole farlo bene. Si può anche fare in modo superficiale, mettendo a rischio la propria vita e, sopratutto, quella degli altri. Informare è un dovere: se si pensa solamente ai premi , è meglio non iniziare. Devi farlo se vuoi davvero raccontare ciò che succede.

Grazie Andreja.