
di Barbara Gammaraccio
Sabato 22 novembre, nelle strade del centro di Torino si sono riversate più di 2.000 persone per reclamare la libertà dei no tav arrestati il 14 dicembre 2013 con l’accusa di terrorismo (l’unico elemento rimasto coinvolto in questa vicenda, ci teniamo a ricordare, è il fantomatico compressore, scomparso subito dopo l’attacco al cantiere ).
Il 14 novembre scorso, i pm Rinaudo e Padalino, durante la requisitoria, hanno chiesto pene pesantissime per i quattro no tav, ovvero 9 anni e 6 mesi e la cifra “simbolica” di 50.000 euro, in quanto l’avvocatura dello stato ed il sindacato di polizia Sap (quello di Aldrovandi) si sono riservati di fare i conti in seguito.
Migliaia di persone, appunto, tutte colpevoli di resistere. Come recitava lo striscione che apriva il corteo. Migliaia di persone che chiedono la libertà dei No Tav, colpevoli di ribadire il loro No a un’opera non solo inutile ma dannosa per l’ambiente e per noi che viviamo in uno Stato che ha prosciugato le sue casse per finanziare le grandi opere, ovvero più verosimilmente per spartirsi i soldi tra “amici”.
“Eternit 2889 vittime, nessun colpevole/Un compressore bruciato, condanne a 9 anni”, così diversi striscioni presenti nel corteo a sottolineare l’assurdità del metro di giudizio della giustizia italiana, facendo riferimento alla recente vicenda relativa alla sentenza della Cassazione con la quale è stata completamente annullata la condanna a 18 anni per il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny.
(B.G. 23.11.2014)