
Proponiamo ai nostri lettori un’interessante analisi del prof. Antonio Calafati. Raccogliamo in sequenza due suoi articoli che trattano l’argomento del progetto Europeo e di come esso si sia infranto dai trattati di Maastricht in poi. In rilievo alcune considerazioni sui sovranisti e sui populisti. Buona lettura.
Euroscettici, sovranisti, populisti – e neo-liberisti
Con l’introduzione definitiva dell’Euro nel 2002 – e ciò che ne è seguito – si è arrivati alla cessione di sovranità all’Unione Europea da parte dei Paesi membri in sfere che per alcuni secoli erano state costitutive del concetto di stato nazionale. Con perplessità e opposizioni (neppure tanto forti), ma ci si è arrivati. E i Paesi che hanno aderito al progetto della moneta unica erano Paesi democratici. Si deve partire da qui per capire chi oggi critica l’Euro e l’Unione Europea. E chiedersi: che cosa ha fatto cambiare idea a così tanti cittadini (ed elettori) europei negli anni che sono trascorsi da allora?
Aderendo a quel progetto si riteneva che si sarebbe ceduta sovranità all’Unione Europea – a un progetto politico nel quale le maggioranze di tutti i Paesi coinvolti credevano e di cui pensavano di essere state artefici. Negli anni ci si è resi conto che si era ceduta sovranità in sfere fondamentali dell’economia e della società al mercato globale e non all’Unione Europea, non a un attore sovranazionale legittimato dalle democrazie nazionali, bensì a un meccanismo fuori da ogni controllo politico. Già questo – come fatto di principio – sarebbe stato sufficiente per mettere in discussione la cessione della sovranità, per ritirare la delega. Ma sono stati gli effetti economici e sociali del nuovo ordinamento a far deflagrare la “questione europea”.
Come afferma Mauro Ceruti “Il ritorno alla piena sovranità degli stati nazionali è fuori tempo massino.” (Il tempo della complessità, Raffaello Cortina Editore, 2018, p. 70). Il tema che l’Autore solleva è a chi, in quali sfere e quanta sovranità gli stati nazionali cedono ad altri livelli di regolazione politica superiori e inferiori nell’era della “irreversibile interdipendenza planetaria” (ibidem, p. 70). Il punto è che nelle istituzioni europee non si intravede alcuna intenzione di discutere dalla prospettiva del paradigma della complessità il tema della sovranità e tanto meno di provare a riprendersi quella parte di sovranità che gli stati nazionali avevano ceduto loro non perché, a sua volta, fosse ceduta ai mercati globali. Questo è il dilemma: non si può tornare indietro alla “piena sovranità” degli stati nazionali – ammesso che l’abbiano mai avuta una piena sovranità – ma non c’è una riflessione su come distribuire tra i diversi livelli di governo la sovranità che serve per ristabilire un soddisfacente equilibrio sociale ed economico.
Da che parte stiano i liberisti rispetto alla “questione europea” è chiaro. Con coerenza, stanno dalla parte dell’irrilevanza del progetto europeo originario. Nel loro paradigma non esiste altro sovrano legittimo che il mercato globale. Goodbye Europa (Rizzoli, 2006) intitolavano senza esitazioni un loro libro due noti economisti italiani, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. Lo stesso paradigma dal quale muove Lorenzo Bini Smaghi, a lungo nel Comitato Esecutivo della BCE, nel suo 33 false verità sull’Europa (il Mulino, 2014). Lo stesso paradigma che propone ora il vice-direttore de “Il Fatto Quotidiano”, Stefano Feltri, nel suo recente Populismi sovrani (Einaudi, 2018). Ma sono soltanto alcuni dei molti libri che si potrebbero citare che affrontano la “questione euroepa” dalla prospettiva neo-liberista.
Definire in tono spregiativo “sovranisti” e “populisti” gli euroscettici, però, è un modo per eludere sul piano dialettico la questione fondamentale: la cessione di sovranità da parte degli stati nazionali era stata democraticamente accettata con riferimento a un altro progetto europeo – che ha iniziato a sgretolarsi con il Trattato di Maastricht (1992). Sul piano della realtà la questione rimane e nelle democrazie i nodi politici li sciolgono le elezioni, a volte male a volte bene.
Ciò che si può rimproverare alle élite euroscettiche italiane, però, è di non aver fatto lo sforzo di capire come il progetto europeo si stesse trasformando. Di non aver fatto poi lo sforzo di elaborare una proposta politica alternativa. Insistere sulla rimozione dei vincoli al disavanzo pubblico come passo decisivo – fattualmente e simbolicamente – per riaffermare la sovranità nazionale o sull’uscita dall’Euro tradisce una visione semplificata del processo di integrazione europea, che non coglie la profondità, l’innovazione e il valore etico del “sogno europeo” (Jeremy Rifkin). Che non coglie il tema di come distribuire la sovranità tra i diversi livelli di governo. Culturalmente subalterni, inutilmente rivendicativi, astrattamente avversi “a Bruxelles” e senza una visione politica gli euroscettici hanno lasciato il campo ai neo-liberisti. Che un progetto per l’Europa lo avevano e lo hanno attuato – un progetto che era politico.
Perché sembrava un sogno, il progetto europeo?
Un progetto per l’Europa i neoliberali l’avevano, lo stanno attuando e sono vicini a compiere l’opera. I neoliberali non sono affatto euroscettici. I neoliberali sono contro l’Unione Europea, sono contro il progetto europeo originario. La caduta del Muro di Berlino è del 1989. L’inizio della decostruzione del progetto europeo è del 1992, con il Trattato di Maastricht. Una decostruzione lenta. Non poteva avvenire come atto politico esplicito – non sarebbe stato politicamente possibile farlo. Doveva avvenire con cambiamenti istituzionali che danneggiavano la struttura, che obbligava a svuotare il progetto fino a renderlo irriconoscibile.
Non era difficile per un economista capire a cosa avrebbe potuto condurre la strada intrapresa con il Trattato di Maastricht. Ma gli economisti sono (diventati) quasi tutti neoliberali – sia quelli di destra che di sinistra – e quella strada era per loro quella giusta. Per gli economisti neoliberisti il progetto europeo originario era un ostacolo al progresso economico perché proponeva un limite alla logica del mercato. E loro non sopportano porre limiti al calcolo economico.
Non era difficile capire – quanti esempi la storia economica può fornirti – che l’unificazione monetaria è capace di generare polarizzazioni territoriali impressionanti. Per gli smemorati – e gli inconsapevoli – bastava gettare uno sguardo a quello che stava accadendo nella Germania orientale come conseguenza dell’unificazione monetaria con la Germania occidentale. Che avveniva in quegli anni. E in Germania nessuno – tranne qualche analista in cerca di facile gloria – ha negato la necessità di un afflusso di capitale pubblico e privato, enorme e per decenni, nei territori della Germania orientale a compensazione degli effetti sulla base economica dell’unificazione monetaria.
Non era difficile capire che cosa sarebbe successo mettere la manifattura greca o italiana nella stessa area monetaria di quella tedesca e, allo esso tempo, permettere al capitale finanziario tedesco di andarsene fuori dall’area euro. Che storia!
Non era neanche difficile capire cosa sarebbe potuto accadere ampliando di molto i territori dell’Unione Europea – di ampliarli ad est –, senza aumentare la dotazione dei fondi strutturali. Benché i nuovi territori – così profondamente europei, così importanti per tutti noi – fossero molto lontani dalla media europea in termini di reddito. Ma quelli “giusti”, di paesi, lasciarli però fuori dall’Euro – per delocalizzazioni facili e altri vantaggi quotidiani per la borghesia professionale che nell’area Euro vive.
Si potrebbe continuare a raccontare tutti i piccoli e continui cambiamenti istituzionali con i quali si è indebolita l’impalcatura del progetto europeo, con i quali si è trasformato il progetto.
Con le loro sgangherate critiche all’Unione Europea, il Movimento 5 Stelle e la Lega sono riusciti a farsi passare per avversari del progetto europeo. A farsi definire come “nemici dell’Europa” proprio da chi l’Unione europea aveva veramente avversato, con metodo e impegno intellettuale. E con competenza e intelligenza contribuito a smantellare. I neoliberali perseguivano un altro progetto politico.
C’è un’Europa, un progetto europeo prima e dopo il Trattato di Maastricht. Che significa allora essere “euroscettici” oggi? Quale è il progetto europeo che lascia perplessi? Quali sono le partidel progetto europeo che si vuole modificare, ora?
Ce lo siamo dimenticati quello che è stato il progetto europeo – e perché sembrava un sogno.