
La politica occidentale, e maggiormente quella italiana, paiono sepolcri imbiancati dal tempo, incupiti dalle proprie menzogne, quadri sbiaditi in un eterno presente che non sa più pensare al futuro, ma solo incassare generose prebende sulle spalle della gente comune.
di Davide Amerio.
Politica: i nostri “cugini” francesi non hanno particolarmente simpatia per noi. Probabile non abbiano più che altro “stima” di noi Italiani. La nostra replica orgogliosa è che ‘noi abbiamo il bidè…e loro no!’. Non avranno il bidè, ma si lavano lo stesso e, soprattutto, non perdono occasione per ricordare al potere chi è il popolo sovrano.

Diversamente noi, con i nostri bidè, ci sciacquiamo pazientemente (troppo) il deretano che viene costantemente violato dai poteri interni, e da quelli esterni, facendo di noi un popolo suddito, non più sovrano, bistrattato e incolpato di ogni vizio, a seconda della convenienza politica dell’accusatore.
Non che siamo privi di vizi… tutt’altro! E la genialità italica è fuori discussione. Ma siamo intrinsecamente deboli di fronte a questi sepolcri imbiancati della politica. Sublimiamo ingiurie, nefandezze, ciarlatanerie, ingiustizie, incompetenze e ruberie, con gli sfottò, con l’ironia dei comici, con il sarcasmo della satira, e ci pare questo un traguardo sufficiente per esorcizzare tutto il malessere di un sistema che non funziona.
Gli ultimi trent’anni sono stati l’ennesimo “danno antropologico”, per dirla alla Pasolini, inflitto al paese. A livello mondiale: una progressiva affermazione del neocapitalismo (con annesso fenomeno del globalismo) e delle teorie neo-liberiste. Forti del “crollo” del sistema sovietico dall’89, nemiche del Welfare State, della Democrazia Liberale, del Socialismo Liberale, hanno combattuto una furtiva lotta di retrovia per indebolire gli Stati sovrani, e affermare la superiorità del sistema finanziario globale sulla la politica.
A livello nazionale: i partiti di sinistra si sono progressivamente rinchiusi in una riserva ideologica, abbandonando la battaglia per la trasformazione della società, limitandosi a posizioni di bandiera nella difesa di alcune frange emarginate. Per farsi riammettere nel consesso politico sono state disposte a rinnegare la propria natura riformatrice, per acquattarsi infine ai piedi del neoliberismo, assumendone le vesti e giustificandone le false ri-forme.
I partiti di destra restano sospesi nel limbo berlusconiano entro il quale si sono confinati, da trent’anni a questa parte, con atto volontario di convenienza e di cinico opportunismo. Le loro manifestazioni politiche, la loro ideologia, la loro immagine di paese, dell’economia, della società, è ferma agli anni ‘50. Solleticano la parte più tradizionalista e conservatrice, in nome di un Liberismo che ben poco ha da spartire con Cavour e con la storia liberale.
Entrambe le aree mirano incessantemente alla distruzione della Costituzione Italiana del ‘48. Quella, per intenderci, che possiede intrinsecamente un’anima “evolutiva”, che guarda in alto verso gli orizzonti del benessere e della giustizia sociale per la popolazione. Figlia delle guerre, del confronto e del dibattito democratico, non pone il paese in posizione di sudditanza verso poteri stranieri, ma raccoglie il senso profondo di una propria identità nazionale: patrimonio di cultura, di politica, di bellezze del territorio, di storia, di industriosità, e di accoglienza.
Il neoliberismo necessita, per la propria sopravvivenza, dell’annullamento delle identità personali e nazionali. Non sono i confini a renderci “nazionalisti”, paurosi degli altri, rinchiusi nel guscio del “particulare”. È l’assenza di una identità vera a renderci timorosi verso il resto del mondo.
Francis Fukuyama, noto per il suo libro “La fine della storia e l’ultimo uomo”, molto contestato, quanto poco letto e capito, nel saggio del 2019 (“Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi”), spiega – forse involontariamente,- le ragioni per cui il sistema neoliberista si accanisce nei confronti dell’identità umana.
Gli individui, nel corso della storia, hanno sempre avuto necessità di un riconoscimento da parte degli altri, della collettività.
Questo riconoscimento conferisce alla persona la propria identità, la ragione della propria esistenza; garantisce la parità di trattamento (eguaglianza) all’interno della comunità. Tutte le maggiori “rivoluzioni” della storia hanno come fondamento questa ricerca di riconoscimento. La consapevolezza della propria identità non ci impedisce di essere cosmopoliti… anzi! Quando ci sentiamo trattati da pari, da eguali, la società funziona meglio, senza conflitti, e, più sicuri di noi stessi, siamo meglio disposti verso gli altri.
Demolire questo senso di identità, sia esso nazionale, di genere, di costumi, è invece l’obiettivo che si pone l’agenda neoliberista. Essa brama soggetti fluidi; uniformi e uniformati; assoggettati e schedati (meglio se con un microchip impiantato); classificati e catalogati (con una tessera digitale che può azzerare la loro esistenza); consumatori compulsivi per la soddisfazione di desideri e impulsi indotti dalla pubblicità.
Non è l’assenza di confini che fa del mondo un posto migliore, ma sono i confini che definiscono le reciproche identità a darci la sicurezza di chi siamo, e da dove veniamo: solo in questo modo possiamo affrontare il mondo con consapevolezza e riconoscere, con rispetto e senso di fratellanza, le identità altrui.
Le narrazioni degli ultimi due anni, dalla Pandemia Covid alla guerra Ucraina, sono la figurazione plastica di questo desiderio neocapitalistico. Sostenute dalle storie raccontate da quei retori sempre pronti a divulgare il pensiero del padrone di turno: i giornalisti mestieranti. Se il disegno narrante non è sufficiente… c’è sempre la “paura”, il terrore, come arma di riserva; oppure l’accusa infamante, pronta per colpire i dissidenti, gli anarchici di turno, gli eretici del pensiero prestabilito e confezionato ad hoc.
Le conseguenze del sistema gestito da questi sepolcri imbiancati della politica è visibile per tutti coloro che non volgono lo sguardo altrove, o fanno finta il disastro non li riguardi.
Coorporation che licenziano in massa. Borse e banche traballanti che mettono a rischio i risparmi reali. Criptovalute in fallimento. Dimissioni massive da parte di dipendenti che pretendono trattamenti migliori.
Conseguenze disastrose di reazioni avverse da vaccini negate in modo ignobile. Inflazione generata da un conflitto in casa europea sostenuto con cieca ottusità per obbedire ai comandi di una nazione americana che ha già perso la sua supremazia sul mondo, ma non riesce ad ammetterlo.
Lotta ai poveri anziché alle radici della povertà (della diseguaglianza) e dell’assenza di lavoro per tutti (o del disallineamento tra richiesta e offerta). Buone idee per il rinnovamento (come il Bonus) tradotte poi male (senza considerare la perdurante assenza di moralità nel paese), con distorsione della pari opportunità di accesso ai benefici. Ignobile cessione della sovranità monetaria e della politica economica. E potremmo continuare ancora a lungo.
Sepolcri imbiancati appunto, vestali dell’ipocrisia e dell’a-moralità costruita sull’impunità politica e giudiziaria di partiti trasformati in comitati d’affari, in combutta, sovente, con la criminalità organizzata che spadroneggia sul territorio nazionale in funzione di anti-Stato.
Ma, sia chiaro, la responsabilità politica è anche, e forse soprattutto, dei cittadini che hanno abdicato al proprio ruolo, lasciandosi sedurre dalle vie facili, amichevoli e ammiccanti della complicità verso i propri carnefici. Cittadini che anelano ancora l’uomo forte, risolutore, in odore di santità, di messianica provvidenza, di salvifica protezione.
Per scoprire, dopo, l’inganno, le giravolte, i voltafaccia. Ci piace dire (in via consolatoria) che “quando arrivano lì (al potere)… diventano tutti uguali”. Così inganniamo noi stessi, de-responsabilizzandoci, assolvendoci per la nostra incapacità di scegliere il vero, l’autentico, di metterci in gioco: dubitando sempre, e pretendendo chiarezza nelle parole, e onorabilità nei comportamenti in politica. Avendo anche il coraggio di sbagliare, ma di imparare le lezioni: ovvero vivere la politica come qualsiasi altra attività umana che comporti rischio e impegno personale per raggiungere obiettivi via via migliori.
Perché nessun Messia verrà a salvarci dalla nostra indolenza intellettuale, e dalla palude morale (politica) che abbiamo lasciato crescere attorno a noi. Nessuno!