
di Valsusa Report
Un’altra vittima. A dare il triste annuncio sono gli avvocati Angelo Fiore Tartaglia e Domenico Leggiero, della difesa dei militari e delle famiglie dei compianti. Antonio come altri ragazzi aveva partecipato alle missioni all’estero in zone poi scoperte come contaminate. Subito dopo il rientro in Italia è iniziato il suo calvario. Il primo segnale, tracce di sangue nell’urina. I successivi esami clinici danno una diagnosi: carcinoma alla vescica. Il militare, nel corso degli anni, ha subito 35 interventi chirurgici e numerosi trattamenti di chemioterapia. Sabato 24 giugno, dopo 13 anni di sofferenze, è morto.
La notizia che cambia il corso della storia, nel 1994; più di 300 chili di munizioni all’uranio impoverito, made in Italy, erano conservati in un deposito della Marina italiana. Durante la Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito l’ex maresciallo della Guardia di finanza, Giuseppe Carofiglio, dichiara: “nel 1994 presso il deposito della Montagna Spaccata, a Napoli, ho scoperto una ventina di casse, con sopra il simbolo della radioattività, dentro 576 munizioni classificate isotopo 238, me ne accertai successivamente con un contatore geiger, un apparecchio non molto sensibile, i cui led però si accesero subito in presenza delle casse”.
Lo stato nelle vesti del comando generale, mandò da Roma addetti dell’Anpa (l’Agenzia di protezione ambientale) dopo il sopralluogo, che rilevò la radioattività, scrissero dei verbali. Confidenzialmente ripete alla commissione l’ex maresciallo di finanza Carofiglio ci dissero: “basterebbe tenere una sola di queste munizioni sulla scrivania per un anno per ammalarsi di cancro”. Di quelle munizioni “non ci fu mai carico contabile, si trattava comunque di munizioni prodotte in Italia. E’ probabile che in quel deposito o in altri ci siano altre munizioni dello stesso tipo e anche proiettili allo zirconio”. Le munizioni radioattive vennero “smaltire in una esercitazione, che effettivamente ebbe luogo ad agosto del ’94. Dove? Non lo posso dire con certezza, ma allora il poligono di tiro preferito era quello delle acque tra Ponza e Ventotene”.
Antonio Attianese fu ascoltato prima della sua morte dalla Commissione parlamentare sulla pericolosità dell’uranio impoverito, l’ex caporal maggiore dichiarò: “non ho mai saputo della pericolosità dell’uranio impoverito, mai saputo che in quelle zone c’era da difendersi anche da questo nemico invisibile. Quando chiedevamo informazioni ai nostri superiori sui rischi, ci dicevano che erano sciocchezze inventate per andare contro il Governo ed i militari”. Prima di lui Andrea Antonaci denunciò le strane morti dei colleghi. Le sue parole furono smentite da Sergio Mattarella che all’epoca era il titolare del Ministero della Difesa. Scrivemmo [QUI] e [QUI] un altro articolo. L’attuale Presidente della Repubblica dovette poi rettificare dopo le precisazioni della Nato, come ricostruisce l’osservatorio militare [QUI]. L’uranio impoverito era stato utilizzato nei Balcani e i nostri soldati lo hanno respirato.
Come ci si ammala per contaminazione con i famosi DU, proiettili all’uranio impoverito? L’impatto del proiettile, ad esempio, su una corazza di un carro armato sviluppa una temperatura che supera i tremila gradi centigradi. A quella elevata temperatura tutto ciò che è nelle vicinanze vaporizza, diventa un aerosol, che si disperde nell’ambiente. La miscela generata può essere inalata respirando l’aria circostante, oppure ingerendo tramite i pasti, carne di vitello, di pecora che prima pascolava nei campi vicini, ortaggi e via dicendo nella catena alimentare di base.
L’avvocato Angelo Tartaglia dell’Osservatorio militare, ci racconta le 76 sentenze favorevoli inanellate tramite la narrazione delle persone colpite dalla “maledizione dei Balcani” nel libro “Militari all’uranio” scritto dalla giornalista d’inchiesta Mary Tagliazucchi. Al conteggio questa maledizione, così definita da chi ne è colpito conta circa 7700 militari malati, con il triste numero di 344 morti, una strage di Stato e un’omertà costruita da militari e politici. La “sindrome dei Balcani”, per i tecnici, dopo 16 anni sta iniziando a svelarsi, stanno affiorando le prime responsabilità che hanno portato alle morti, la strada è ancora lunga, ma già si sa che dal 1993 gli americani avevano reso noto dell’uso di munizionamento DU (depleted uranium), l’Italia adotta solo da novembre del 1999, le misure di sicurezza. Si sa che gli americani, i maggiori fruitori di questo tipo di armi, consegnano ai nostri comandi le mappe delle zone bombardate ma spesso le nostre truppe, vestite delle comuni mimetiche e qualche mascherina per il contagio da raffreddore, in quei luoghi operavano per lo smantellamento e stoccaggio delle carcasse di guerra e non sapevano della pericolosità di quelle armi, come scritto nelle sentenze dai giudici. Si sa che si imbattevano spesso in militari di altri stati che indossano tute adeguate alla guerra NBC (nucleare, batteriologica, chimica).
Da qualche anno anche l’ex magistrato Raffaele Guariniello, in veste di avvocato ha iniziato a difendere gli ex militari, “spesso si pensa che i militari non siano lavoratori e che non abbiano diritto alle stesse tutele, una assurdità. I militari devono avere le medesime tutele di ogni lavoratore”. La maledizione dei Balcani lascerà ancora famiglie distrutte e bambini senza un genitore, i motivi di quella mancata protezione non viene fuori.
V.R. 30.6.17