Grandi opere, controlli, comunità locali

La prima giornata di un convegno di approfondimento sui progetti inutili e devastanti imposti ai popoli europei. Discussi la natura politica delle grandi opere, i rischi per i diritti e per la democrazia.

DSCN3493di Fabrizio Salmoni

Nuova efficace sortita pubblica del Controsservatorio Val Susa di Livio Pepino con il convegno su Grandi opere, controlli, comunità locali in collaborazione con Arci, Giuristi Democratici, Centro Studi Sereno Regis, Laboratorio Civico di Almese, Pro Natura e con il patrocinio del Comune di Almese dove è prevista la seconda giornata. Efficace e sontuosa, per la qualità delle relazioni e dei relatori. I lavori del primo giorno si sono tenuti nella nuova bellissima sala conferenze del Centro Studi Sereno Regis di Torino, non di ampia capienza (un centinaio di posti) ma affacciata in verticale su vetrate che mostrano i resti di una chiesa antica nel sottosuolo ricordandoci quanta ricchezza si debba ancora rivelare sotto la storica via Garibaldi a pochi metri dal moderno selciato.

Ma per venire alle relazioni, coordinate da Gianni Salio, uno a cui piace chiosare ogni intervento a beneficio del pubblico, il compito di introdurre è stato dato a Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale dei geologi, il quale ha ricordato tutte le mancanze di sicurezza e amministrative che hanno portato a suo tempo al disastro del Vajont evidenziando sia le analogie di incuria e disattenzione politica sia gli interessi dei costruttori con quanto si riscontra oggi in Val Susa.

DSCN3487Gianni Tognoni, segretario del Tribunale permanente dei popoli, ha ripercorso la storia (che data dagli anni Settanta) di quell’organismo internazionale, a cui è stato recentemente indirizzato l’esposto del Controsservatorio sulle violazioni, nella vicenda Tav, dei diritti fondamentali della comunuità valsusina. Tognoni ha voluto innanzitutto sottolineare la coincidenza tra diritti umani e quelli ambientali argomentando che le biodiversità sono da considerare caratteristiche ambientali e in quanto tali elementi da proteggere da parte dell’umanità; in Italia – fa notare Tognoni – nessuno investe su valutazioni a lungo periodo dei possibili danni ambientali e per questo è importante portare la sfida nel cuore delle democrazie e nell’ambito del diritto internazionale. Anche perchè in caso contrario non si riesce ad addebitare i danni ambientali ai veri responsabili se passa troppo tempo,, il danno è fatto e l’inevitabile è già accaduto.

A Tiziano Cardosi, presidente del Forum contro le Grandi Opere e pacifista storico, è toccato l’attacco più duro al “totalitarismo del profitto” che rischia di portare l’umanità al collasso socio-ambientale. L’inutilità – sostiene Cardosi – è la caratteristica principale delle Grandi opere se non il finanziamento del sistema politico-economico-mafioso che genera un “profitto artificiale”, buono sull’immediato per chi incassa ma nullo per le comunità che subiscono la violenza di progetti oltretutto devastanti. I movimenti per i beni pubblici e quelli che si oppongono alle Grandi opere sono “i primi sintomi di un futuro di cambiamento”, e sono tanti in Italia (quasi 30mila) i gruppi organizzati di cittadini che si impegnano attivamente. La necessità è quella di unirsi, fare rete e costruire proposte politiche e di convivenza alternative con l’obiettivo non di creare un altro potere ma di “ridistribuire il potere…perchè non c’è alternativa all’estinzione del genere umano”. Un intervento molto politico e quasi rivoluzionario per un pacifista come Cardosi, molto apprezzato dal pubblico.

DSCN3496Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale all’Università di Torino, ha portato la critica a quelle invenzioni del potere, come l’Osservatorio tecnico di Virano, studiate apposta per non permettere ai conflitti di esprimersi e di contare. La partecipazione dei cittadini deve esprimersi nella fase iniziale dei progetti, non dopo o a decisioni già assunte; sedi come l’Osservatorio sono sbilanciate a priori sulle decisioni da prendere: non sono legittime e imparziali sedi di confronto, ” il loro intento politico è di sanare una mancanza di dialogo e anestetizzare il dissenso per imporre la legge del più forte”. Insomma, il processo decisionale delle Grandi opere “mostra i limiti delle attuali democrazie” in Italia come nel resto del mondo in una “modalità raffinata di gestione del potere”.

Tra gli interventi conclusivi, Luca Giunti, naturalista, guardaparco e tecnico della Comunità Montana Val Susa, ha ancora una volta ricordato le incongruenze del progetto Torino-Lione come il fatto che l’unico progetto ad oggi approvato è quello preliminare in cui, tra l’altro, in materia di salute pubblica si prevede l’aumento in Valle del 10-15% di malattie cardiovascolari, senza contare l’incidenza delle polveri di uranio e amianto e senza contare le previsioni di utilizzo di acqua dalle falde in misura di circa 900 litri/secondo. Per non parlare della trasparenza dei processi decisionali, dei requisiti tecnici, della gestione economica del Tav e delle mistificazioni diffuse come quella dell’Alta Velocità perchè – ricorda Giunti – “non esiste documento europeo che parli di AV ma bensi solo di ‘modernizzazione delle linee esistenti'”. Inoltre, come la diga del Vajont, il progetto Torino-Lione è privo dei necessari parametri UNI e non risponde ai principi di precauzione. E a proposito dell’Osservatorio, è notevole l’asimmetria tra il valore del si e del no all’opera: il si è dato per scontato, il no deve sempre reiterarsi perchè il suo peso, dai decisori e dai media è ritenuto inferiore e le sue ragioni sempre da ri-dimostrare.

DSCN3489Gli ultimi due interventi hanno riguardato i parallelismi tra progetti di uguale invasività e danno sociale come il Tav e gli inceneritori la cui nocività è ancora poco capita ma la cui pericolosità è almeno analoga.

Si è chiusa cosi la prima giornata di un evento di buona qualità nei contenuti il cui limite sta solo nell’autoreferenzialità, cioè nel rivolgersi a un pubblico già schierato e molto preparato in materia. Meglio e più utile sarebbe stato, e sarà in futuro, trovare il modo di comununicare con un pubblico più ampio, disposto a farsi informare. Magari sul modello di “La città deve sapere” di qualche anno fa.

F.S. 09.11.2014