Giornalismo dal caso Spada a quelli che non rischiano nulla

Giornalismo al centro dell'attenzione dopo il caso di Ostia. L'informazione libera ci manca come l'aria necessaria per respirare.

di Davide Amerio.

Il giornalismo torna al centro dell’attenzione dopo il miserevole caso di Ostia con la brutale aggressione al giornalista della trasmissione Nemo, da parte del noto Spada, fratello dell’omonimo boss. 

La cittadina ha reagito con una manifestazione che ha visto la partecipazione di molte forze politiche mentre ha brillato, per l’assenza, il Partito Democratico. La politica si divide su principi che non dovrebbero essere messi in dubbio. È inutile fare leggi contro i residui storici del fascismo quando non si riesce a esercitare unanimità contro gesti e manifestazioni chiaramente di stampo fascista.

Stiamo assistendo a velati tentativi di legittimazione di gruppi politici come CasaPound che non nascondono la propria professione di anima fascista con la complicità di un giornalisti troppo compiacenti e timorosi.

Il problema dell’informazione.

Anche in Valle si è parlato di giornalismo con la bella serata organizzata dall’associazione Il Grande Cortile. 

Nel campo politico c’è sempre molta attenzione alle così dette “Fake News”, ma la preoccupazione si limita al Web, che qualcuno vorrebbe censurare, non alla scarsa professionalità che continua a dimostrare il giornalismo dei “grandi”, ovviamente con le dovute -eccellenti, – eccezioni.

Ci si preoccupa del dito, le fake news di qualche imbecille, e non si guarda la luna: le notizie create ad arte per sostenere ora questa ora quella fazione politica. Lontani sono gli anni in cui un autorevole giornalista piemontese, già comandante partigiano, Giorgio Bocca, scriveva un libro dal titolo esauriente: “Il Padrone in redazione”.

La descrizione del rovesciamento della figura del giornalista che da controllore diventa controllato, è ivi illustrata con dovizia di particolari. Quelli che Bocca cercava di spiegare a un refrattario Eugenio Scalfari, già direttore de La Repubblica a quel tempo. Le dinamiche che coinvolgevano il mutamento del mondo imprenditoriale in trasformazione, sono individuate con precisione: l’occupazione dell’informazione per manipolare il mercato e, conseguentemente, la politica stessa che dovrebbe dirigere l’economia.

Lo stato dell’arte.

Ne consegue un giornalismo che transita dalla funzione di “cane da guardia” a vassallo del potere economico (o come scrisse Travaglio “cane da riporto”); mentre il quotidiano diventa un supporto accessorio al gadget e alla pubblicità.

Questo contesto è degenerato nel tempo  sino alla situazione odierna, nella quale è palese la sudditanza, senza senso di vergogna o imbarazzo, delle testate giornalistiche al padrone di turno e, conseguentemente, alla fazione politica di cui esso fa parte.

Certo questo tipo di giornalismo, salottiero, compiacente, adulatore, non è quello che rischia sul campo. Né una testata e neppure la carriera. Anzi, la sua filosofia è improntata a conservare una ipocrita immagine di sé: falsamente autorevole.

Sopperisce il Web, anche se ancora parzialmente in modo confuso. Vera l’esistenza delle fakes news, ma altrettanto più vera sono la presenza e il lavoro di molti (giornalisti e non) nel divulgare quel bene prezioso che si chiama conoscenza. Quella che Luigi Einaudi poneva alla base della democrazia con il suo motto: “Conoscere per deliberare”.

(D.A. 12.11.17)