Francia: Stato di emergenza, i nemici sono gli stranieri e chi li supporta

La Francia opera con lo Stato di Emergenza contro tutti gli stranieri e chi li difende. La sorte degli attivisti italiani che hanno partecipato alla lotta

di Ilaria Bucca.

Le misure messe in atto dal governo francese per punire gli attivisti italiani (quattro uomini e una donna, che però è stata rilasciata) che, insieme ad altri, hanno occupato l’ex dogana a 100 m dal confine con la Francia, sulla strada che porta a Breil, in Val Roya, equivarranno molto probabilmente al massimo della sanzione amministrativa. Cinque giorni di detenzione nel Cra (centro di detenzione amministrativa) di Nizza e decreto di espulsione dal territorio nazionale: l’accusa è quella di disturbo dell’ordine pubblico. Nei fatti, il reato consiste nell’aver occupato l’edificio abbandonato dell’ex dogana, luogo simbolico sia dal punto di vista politico, sia da quello geografico. L’occupazione si è svolta nella sera di sabato 18 giugno, a conclusione della manifestazione in bicicletta, la Critical Mass, partita da Breil con destinazione Mentone. Gli attivisti su due ruote sono stati bloccati sul confine italiano da un reparto delle celere e da due blindati delle forze dell’ordine, mentre diversi agenti della Digos filmavano le loro facce. Tutte scoperte.

Lo sgombero è avvenuto giovedì 23 giugno, di mattina presto, alla presenza di 45 poliziotti della Gendarmerie: all’interno della dogana dormivano otto persone, cinque italiani e tre francesi. I francesi sono stati portati alla caserma di Breil e rilasciati in mattinata. Gli italiani, invece, sono stati trattenuti nei container della Paf, al confine alto tra Mentone e Ventimiglia, per 16 ore. Si tratta del tempo massimo previsto per la detenzione in questura e la durata è stata stabilita dal Prefetto. Tutti hanno ricevuto un decreto di espulsione dal territorio francese. Il disturbo dell’ordine pubblico è sanzionato dal diritto amministrativo, la detenzione all’interno dei Cra è previsto per un periodo che va dalle 24 ore ai cinque giorni. Anche in questo caso sarà applicato il massimo della pena.

L’applicazione del massimo della pena in entrambi casi dipende dal fatto che in Francia è in atto lo stato di emergenza. Lo stato di emergenza può essere dichiarato “in caso di pericolo imminente derivante da gravi minacce all’ordine pubblico o in caso di eventi che presentano, per la loro natura e gravità, le caratteristiche delle calamità pubbliche”, attraverso un decreto emanato dal Consiglio dei Ministri. Si tratta di una misura disposta dall’esecutivo, che autorizza i prefetti a mettere restrizioni della libertà personale, associativa e di stampa. La circolazione delle persone può essere limitata, la comunicazione mediatica censurata e le associazioni politiche proibite. Si tratta quindi di una misura di repressione politica: diversamente dallo stato di guerra, che aumenta il potere di agire dei militari, questa mira ad accrescere la forza dell’esecutivo e l’accentramento del potere nelle sue mani, indebolendo al contrario quello dei gruppi politici che si oppongono alle decisioni dello stato. La storia insegna che i gruppi politici che in Francia sono colpiti da questa misura hanno  qualcosa a che fare con gli stranieri. Era così in occasione delle tre proclamazioni dello stato di emergenza per la guerra di Algeria, tra il 1955 e il 1961, e nel 1984, per quella in Nuova Caledonia. Anche nel 2005 le misure repressive colpirono un movimento politico di stranieri: quello che agitò le banlieu parigine. L’ultimo stato d’emergenza è in vigore in Francia dagli attentati terroristici del 13 ottobre 2015, attribuiti all’Isis. La misura è quindi stata adottata per proteggere il Paese dall’opposizione dei fondamentalismi islamici, ma in questo caso ha colpito un movimento d’opinione ben diverso.

Le quattro persone detenute in questi giorni nel Cra di Nizza  sono state identificate dai giornali francesi come attivisti del collettivo No Borders, che difende in tutta Italia la libertà di movimento delle persone, compresi i migranti in transito nel nostro Paese e verso l’Europa. Anche in questo caso sono coinvolti i diritti degli stranieri originari di un altro continente: gli attivisti lottano perché i diritti delle persone in transito  vengano riconosciuti, sia quello di non essere clandestini in Europa, sia quello di attraversare liberamente le frontiere. Il gruppo si lega anche a un discorso politico più ampio, che si oppone alla devastazione dell’ambiente della Val Roya, zona di confine fra la Francia e l’Italia. La decisione di adottare misure restrittive della libertà personale nei confronti degli attivisti è la prova della volontà politica della Francia di soffocare la nascita di un movimento che rivendichi politicamente le ragioni dei migranti. L’atteggiamento del Paese d’Oltralpe è quello di reprimere il nemico: gli stranieri sans papiérs o, come in questo caso, i loro amici, che lottano per l’abbatimento delle frontiere e contro i danni del sistema economico capitalista al territorio europeo.

Invito a riflettere sulla “colpa” che è stata punita: l’occupazione di uno stabile abbandonato, un edificio su due piani che gli attivisti hanno ripulito, senza danneggiarlo. Ciò che ha infastidito le autorità francesi è stato il valore simbolico di quel luogo abbandonato: un’ex dogana, lungo la strada che in Val Roya porta in Francia e accanto alle rotaie del treno che da Ventimiglia arriva a Cuneo, passando per Breil, Sospel e gli altri paesini della valle transfrontaliera. Si tratta di un luogo denso di significati, perché situato in una valle di confine, contraria al trasporto delle merci su gomma e alla limitazione della libertà di circolazione delle persone. Il movimento politico che ha appoggiato l’occupazione ha voluto inviare un messaggio forte: un no alla logica del capitalismo che vuole la libera circolazione delle merci e blocca i movimenti degli individui. Lo stato francese ha voluto rispondere con altrettanta convinzione di quello italiano, che ha disposto lo spiegamento delle forze dell’ordine per bloccare al confine con l’Italia la manifestazione in bicicletta di sabato. Il messaggio è chiaro: l’Italia è contraria a questo movimento politico e la Francia anche.

Ma la risposta degli esecutivi dei due paesi alla presa di posizione degli attivisti che rivendicano la libera circolazione delle persone, per quanto dura, non ha solo una chiave di lettura negativa. Lo stato francese ha implicitamente riconosciuto di avere l’intenzione di opporsi  alle rivendicazioni degli stranieri e degli attivisti che lottano per l’apertura dei confini e per la libertà di movimento di ogni individuo, piuttosto che delle merci, e del suo diritto di non essere illegale. Così facendo, lo Stato francese ha riconosciuto la forza politica del suo nemico.

(I.B. 27.06.16)