
di Claudio Giorno.
Place de la Republique, prima degli scontri tra gendarmeria e i manifestanti era una grande distesa di scarpe. Quelle di tutti coloro che avrebbero voluto protestare contro il supervertice Onu sul clima impediti dai divieti del governo seguiti alle stragi terroristiche. Chi ci ha provato ugualmente (ed erano molti di più di quanto ci si potesse aspettare in una città ferita, disorientata e blindata) è stato caricato dopo un fitto lancio di gas lacrimogeni e spray urticanti… (Il premierVals ha condannato la violenza…verso le forze dell’ordine: tutto il mondo è paese; poi ha fatto rimuovere le calzature, anche quelle che sarebbero state mandate da Papa Bergoglio!). A Parigi ci sono 13 gradi – secondo Meteofrance mentre scrivo – e un sole velato con debole minaccia di pioggia. I “grandi della terra” (come si usa chiamare i nominati delle finanziarie mondiali che non hanno nessuna intenzione di “cambiare l’agenda”) sono barricati a limare testi di accordi precotti, premasticati e forse ormai predigeriti; perché se dovessero anche rivelarsi di qualche modesta utilità non verranno mai applicati: nasceranno morti, come il protocollo di Kyoto, al di la della buona volontà di molte persone preparate e per bene, invitate come alibi e destinate ad essere messe da parte se dovessero attivarsi “troppo”.
Domenica mattina, Avigliana, spazio sociale VisRabbia: sono tornati in Valle di Susa gli amici di Re:Common (l’associazione che ha raccolto il testimone dalla Campagna per la riforma della Banca Mondiale rinnovando l’impegno a sottrarre al “mercato” il controllo delle risorse naturali, per restituirne l’accesso e la gestione diretta ai cittadini). Con Spinta dal Bass, “storico” centro sociale del nostro territorio hanno organizzato un incontro di “popoli in lotta” dal titolo “Senza Comunità non c’è Resistenza”. Una delle innumerevoli iniziative di cui la Valle è diventato ormai un riconosciuto crocevia. Questa volta, sotto lo sguardo della Sacra di San Michele si sono incontrate persone delle provenienze più diverse: dalla Bolivia al Salento, dal Kurdistan (ieri il gemellaggio tra Kobane e il più piccolo comune della bassa valle, San Didero!) alla Romania. Gabriel, esponente della lotta di Cochabamba per la difesa dell’acqua spiega la difficoltà di mantenere sempre lo stesso livello (alto) di attivismo sia nel tempo che tra i diversi “attori” – nel loro caso anche le popolazioni “indio”; racconta l’esperienza singolare della “istituzionalizzazione della protesta”.
Bogdan e Sofia sono arrivati dalla Romania, da Rosia Montana dove due anni fa si è tenuto il penultimo forum contro le grandi opere inutili e imposte di Presidio NoTav Europa. La grande opera che minaccia i loro villaggi è la più grande miniera d’oro del vecchio continente. Non (più) cunicoli come al tempo dei Romani, ma intere colline ingoiate da mostruosi frantoi, sciolte dagli acidi più velenosi, detriti lasciati a solidificare in vasche a diretto contatto con la falda per estrarre il prezioso metallo con costi che consentano adeguati utili alla multinazionale canadese e ai fondi nord americani che hanno investito nelle sue azioni. Ma anche per loro, che fanno parte di un Collettivo che non per nulla hanno chiamato “A-Casa” si sono aperte le contraddizioni tra chi vuole fare del movimento una forza politica non importa chi si imbarca, e chi – come loro – preferisce lavorare nel sociale affrontando senza negarli anche i problemi della crisi mondiale aggravati localmente dalla impossibilità di mantenere le promesse di prosperità della società mineraria; (che attualmente ha anche aperto un contenzioso col governo per i permessi negati a seguito del grave
inquinamento conclamato).
Le torte di verdure alle erbe di Marisa e Gildo e la birra artigianale di Silvio ristorano chi ha parlato e chi è venuto al periodico e atteso appuntamento coi prodotti (e i produttori) di “Genuino Valsusino”.
La mattinata è freddina, ma illuminata da un sole accecante che ha tenuto la temperatura su livelli comunque accettabili per la stagione.
Un sole che sembra volersi congedare da Susa già alle 14 e 30. Davanti alla facciata monumentale dell’ospedale civile arrivano – molto prima dei manifestanti – alcune decine di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa (anche se caschi e scudi sono rimasti per il momento nei “furgoni-cellulari”). Qui il clima appare assai diverso nei gradi, ma inquietantemente simile a quello narrato dalle cronache parigine. Non sembri una forzatura di chi scrive: pochi giorni fa Lastampa di Mariocalabresi ha attribuito alla signora prefetto di Torino, Paola Balisone la seguente virgolettata frase a proposito della capacità di difesa della capitale sabauda, dei suoi illustri ospiti e dei suoi sudditi, da possibili attacchi terroristici: “Di formule astratte ce ne sono molte, ma tradurle sul piano concreto è un’altra cosa. “Ogni evento richiede una risposta adeguata, da valutare di volta in volta, con moduli diversi. Nessuno ama vivere in una città militarizzata. Ecco perché risulta fondamentale l’attività di prevenzione, e in questo Torino ha un’esperienza consolidata: penso ad esempio ai tanti fenomeni di attivismo, a partire dalla contestazioni contro l’Alta Velocità”.
E sarebbe stato il questore di Torino in persona a ordinare tale spiegamento di forze, secondo quanto risponde un graduato “sulla piazza segusina” alle domande di un senatore, di un paio di consigliere regionali e di sindaci presenti tra la piccola folla che va radunandosi in corso Inghilterra, di fronte al cancello e al portone dell’ospedale rimasti chiusi (anche di giorno, per la prima volta a memoria d’uomo). Anche qui “ordini superiori” pervenuti – pare – assieme a una ramanzina per aver lasciato affiggere nell’ingresso decine di disegni di bimbi nati e curati negli ultimi anni nell’unico ospedale superstite dei tre che vantavano le Valli di Susa e Sangone. Bimbi che intanto sopraggiungono in numero davvero confortante nonostante il clima atmosferico e quello “civile” siano quelli descritti. Molti in carrozzine spinte da mamme, papà e nonni. Molti anche ormai grandicelli con cartelli e striscioni che testimoniano la loro nascita tra le mura amiche (e decorate da centinaia di foto di chi è nato in tanti anni qui), in un reparto destinato a chiudere inderogabilmente con la fine del mese. Inderogabilmente nonostante il decreto della ministra della salute (di possibile deroga per le aree montane) che ha indotto i sindaci a chiedere di ridiscutere il proto-obtorto-collo siglato qualche mese fa con l’assessore regionale alla sanità Antoninosaitta. Un documento in cui si prendeva atto di una decisione motivata ufficialmente con l’assenza di un Dipartimento di Emergenza, ma che tutti sanno essere generata da un debito – il maggiore tra le regioni del “Virtuosonorditalia” – esploso con gli interessi dovuti alle banche (tra cui quella con presidente di fondazione l’attuale “governatore”: quanto basterebbe – nei paesi anglosassoni – per essere ritenuto incandidabile). E il clima della giornata – infatti – per un attimo si arroventa a dispetto del termometro con lo scambio di accuse tra Sandro Plano, sindaco della città e gli organizzatori della protesta che lo accusano di aver accettato un accordo indecente di sostanziale avallo della chiusura. Ci vuole tutto il “fisico del ruolo” del miglior Alberto Perino (laeder riconosciuto del movimento che la prefetta considera pericoloso quanto il califfatoislamico) per ricondurre tutti al vero avversario: il partito di governo del paese come della regione.
La passeggiata che prende avvio per le vie del centro storico dell’antica Segusium è riscaldata dal sentirsi comunità, dalla consapevolezza che da ciò deriva il diritto e la capacità di r-esistere. Lo dicono meglio di chiunque altro (a cominciare da me che scrivo) i due bimbi che si tengono per mano per tutto il tragitto tra due carrozzine.
Lo dice il girotondo che – ormai all’imbrunire, con i lampioni che si accendono – improvvisano adulti e bambini davanti a un cancello chiuso e a una palizzata umana (sempre più a disagio; sanno di essere fuori posto e fa freddo anche per loro) di tutori di un ordine che di pubblico ha solo più il debito (mentre loro tutelano più o meno consapevolmente la speculazione privata sempre più spesso criminale che del debito si alimenta. Glie lo ricorda senza sconti Emilio Scalzo in uno degli ultimi e applauditissimi interventi al microfono. Il freddo aumenta, da dicembre non ci sarà più neanche il prontosoccorso-pediatrico (per eventuali bronchiti), ma non si ha voglia di tornare a casa, proprio come capitava dieci anni fa a Venaus, nonostante a quest’ora sembrasse d’essere investiti dallo stesso vento gelido della piana del Moncenisio e gli alberi fossero“decorati” dalla galaverna. Così – proprio nelle avversità del clima – la gente di Valsusa si è scoperta Comunità.
(C.G. 30.11.15)