
In questi giorni su Facebook sta dilagando un’immagine piuttosto significativa: un cilindro sospeso a mezz’aria è illuminato da due fonti luminose disposte a novanta gradi che ne proiettano l’ombra su due schermi posti alle altre estremità del cilindro stesso. Ne consegue che mentre la prima fonte luminosa proietta l’ombra di un parallelepipedo, l’altra diffonde la sagoma di una circonferenza perfetta. Eppure l’oggetto è lo stesso. Dopo le varie polemiche seguite alla cessione della gestione tecnica del Forte di Exilles al Comune e la gestione delle attività culturali al Circolo dei Lettori e al Salone del Libro la mia impressione è che del cilindro si veda solo il parallelepipedo. Troppo sovente il concetto metropolitano di “montagna” si esaurisce nello sci d’inverno e nell’arrampicata d’estate, tutto il resto è una visione opaca fatta di freddo, neve e qualche mucca. Del resto pare che anche per la gestione passata del Forte la visione del montanaro sia stata più assimilata a quattro bonaccioni con i pantaloni di fustagno e il paiolo della polenta che non a esseri pensanti con i quali confrontarsi considerato che il monumento era comunque a casa loro. Il risultato, alla fine dei conti, era ineluttabile. Mentre i primi anni con i soldi pubblici si sono potuti fare spettacoli di qualità, nel corso di un decennio e senza nessuna politica di investimento tale qualità si è abbassata in un decrescendo esponenziale a mano a mano che finiva il denaro. Il Museo, bellissimo nelle sue installazioni multimediali di Richi Ferrero, è rimasto uguale a se stesso esaurendo ben presto un bacino di utenza poco invogliato. Insomma, per cominciare a considerare un po’ l’ombra della circonferenza e dunque un altro punto di vista, la gestione del Forte di Exilles è sempre stata molto colonizzante. In paese esistono testimonianze storiche e iconografiche che avrebbero potuto, da sole, riempire parecchie sale, ma al momento della presa di possesso dei santoni torinesi della conoscenza, non c’è stato alcun contatto con il territorio. Così siamo rimasti allibiti quando, su un opuscoletto relativo alla storia del Forte, abbiamo scoperto la presenza dei fantasmi di due giovani amanti con tanto di nome e cognome assassinati nella fortezza. Dopo esserci chiesti il nome della sostanza dopante utilizzata dall’estensore dell’opuscolo abbiamo rinunciato. Troppi si sono presentati come guru e profondi conoscitori del monumento imbellettandosi nelle loro trasferte in valle. In paese almeno quattro famiglie sarebbero state disponibili a ricoprire l’incarico di custode, ma è stato mandato da Torino. La presenza del territorio è stata ridotta a quella di spettatori passivi, riconoscenti al feudatario quando ci concedeva il contentino: l’orchestrina che parte dalla piazza di Exilles. L’impressione era che fossimo noi gli ospiti. Il grosso degli emolumenti regionali rimaneva comunque a Torino. Come se non bastasse, e a spregio di ogni vincolo paesaggistico che noi exillesi subiamo da anni proprio in virtù della sua presenza, il Forte è stato sfregiato da un ascensore a cielo aperto. I progettisti sostenevano che fosse “mimetico ma visibile” e garantivano una “vista mozzafiato”. Testuali parole pronunciate in una sera di autunno per un incontro di facciata con la popolazione per fingere un confronto democratico. Ora il “mimetico ma visibile” è una contraddizione in termini e la “vista mozzafiato” si limita ad un pezzo di vigna e all’ingresso di servizio della galleria autostradale. Nessuno ha mai negato l’utilità di un ascensore, ma perché non farlo interno? Oppure perché non mascherare l’esistente e ricreare la continuità della roccia?
E’ vero, per il paese c’è stato un minimo di ricaduta economica, i turisti, ogni tanto, facevano un giretto tra i vicoli, qualcuno comprava nei pochi negozi rimasti, ma la ricaduta economica è stata decisamente troppo bassa rispetto alle potenzialità della struttura. Il territorio in cui è inserito il Forte di Exilles non fa parte di alcun comprensorio sciistico e le sue potenzialità sono strettamente legate al monumento, come lo erano prima del 1943. I ragazzi di Exilles non portano più i pantaloni di fustagno e sono quasi tutti laureati, qualcuno è tornato e ha aperto un’attività agricola, altri lo vorrebbero fare ma le condizioni purtroppo non lo consentono. Quale opportunità migliore? Per noi il Forte di Exilles non deve essere un Museo e neppure un contenitore di spettacoli più o meno di qualità. O perlomeno non solo. Il forte deve ritornare ad essere un contenitore di attività di ogni genere: artigianali, didattiche, multimediali, di formazione, ma soprattutto deve vivere in sinergia con il territorio, con la valle e i suoi abitanti, ma pur sempre in ottica internazionale e cosmopolita. E’ ovvio che da solo il comune di Exilles non ha la forza economica e politica per portare avanti un progetto titanico come questo, ma se la sinergia con chi gestirà i progetti culturali è reale e non fittizia come lo è stata per anni, le cose potranno cambiare. Occorrerà l’intervento di privati, progetti ad ampio respiro, il paese stesso dovrà attivarsi per offrire ospitalità, servizi, ristorazione. Ci si è lamentati per il “licenziamento” di sei persone che prestavano la loro opera all’interno del forte, ma se il forte rinasce come elemento della valle e non più come colonia quelle persone da sei potrebbero diventare sessanta, ma soprattutto diverrebbero imprenditori di se stessi e non più ostaggio di cooperative. Nessuno può sapere se potremo farcela, è una sfida titanica ma la strada è solo quella e quella che ci aspetta è l’ultima occasione. Io scrivo a titolo personale, sono un exillese come tanti e non rappresento nessuno, ma da quarant’anni sono anche un professionista nel settore della televisione e dell’informazione, e negli ultimi dieci spettatore passivo di una trasformazione mal riuscita; e questa era l’altra ombra del cilindro.
Riccardo Humbert