Euroscettici, sovranisti, populisti – e neo-liberisti

Liberisti vincitori di questo modello Europeo? Certamente si, ma la questione della sovranità è complessa. Non basta accusare gli oppositori di populismo, la cessione della sovranità è passata dall Europa ai poteri globalistici, senza controllo.

Con l’introduzione definitiva dell’Euro nel 2002 – e ciò che ne è seguito – si è arrivati alla cessione di sovranità all’Unione Europea da parte dei Paesi membri in sfere che per alcuni secoli erano state costitutive del concetto di stato nazionale. Con perplessità e opposizioni (neppure tanto forti), ma ci si è arrivati. E i Paesi che hanno aderito al progetto della moneta unica erano Paesi democratici. Si deve partire da qui per capire chi oggi critica l’Euro e l’Unione Europea. E chiedersi: che cosa ha fatto cambiare idea a così tanti cittadini (ed elettori) europei negli anni che sono trascorsi da allora?

Aderendo a quel progetto si riteneva che si sarebbe ceduta sovranità all’Unione Europea – a un progetto politico nel quale le maggioranze di tutti i Paesi coinvolti credevano e di cui pensavano di essere state artefici. Negli anni ci si è resi conto che si era ceduta sovranità in sfere fondamentali dell’economia e della società al mercato globale e non all’Unione Europea, non a un attore sovranazionale legittimato dalle democrazie nazionali, bensì a un meccanismo fuori da ogni controllo politico. Già questo – come fatto di principio – sarebbe stato sufficiente per mettere in discussione la cessione della sovranità, per ritirare la delega. Ma sono stati gli effetti economici e sociali del nuovo ordinamento a far deflagrare la “questione europea”.

Come afferma Mauro Ceruti “Il ritorno alla piena sovranità degli stati nazionali è fuori tempo massino.” (Il tempo della complessità, Raffaello Cortina Editore, 2018, p. 70). Il tema che l’Autore solleva è a chi, in quali sfere e quanta sovranità gli stati nazionali cedono ad altri livelli di regolazione politica superiori e inferiori nell’era della “irreversibile interdipendenza planetaria” (ibidem, p. 70). Il punto è che nelle istituzioni europee non si intravede alcuna intenzione di discutere dalla prospettiva del paradigma della complessità il tema della sovranità e tanto meno di provare a riprendersi quella parte di sovranità che gli stati nazionali avevano ceduto loro non perché, a sua volta, fosse ceduta ai mercati globali. Questo è il dilemma: non si può tornare indietro alla “piena sovranità” degli stati nazionali – ammesso che l’abbiano mai avuta una piena sovranità – ma non c’è una riflessione su come distribuire tra i diversi livelli di governo la sovranità che serve per ristabilire un soddisfacente equilibrio sociale ed economico.

Da che parte stiano i liberisti rispetto alla “questione europea” è chiaro. Con coerenza, stanno dalla parte dell’irrilevanza del progetto europeo originario. Nel loro paradigma non esiste altro sovrano legittimo che il mercato globale. Goodbye Europa (Rizzoli, 2006) intitolavano senza esitazioni un loro libro due noti economisti italiani, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. Lo stesso paradigma dal quale muove Lorenzo Bini Smaghi, a lungo nel Comitato Esecutivo della BCE, nel suo 33 false verità sull’Europa (il Mulino, 2014). Lo stesso paradigma che propone ora il vice-direttore de “Il Fatto Quotidiano”, Stefano Feltri, nel suo recente Populismi sovrani (Einaudi, 2018). Ma sono soltanto alcuni dei molti libri che si potrebbero citare che affrontano la “questione euroepa” dalla prospettiva neo-liberista.

Definire in tono spregiativo “sovranisti” e “populisti” gli euroscettici, però, è un modo per eludere sul piano dialettico la questione fondamentale: la cessione di sovranità da parte degli stati nazionali era stata democraticamente accettata con riferimento a un altro progetto europeo –  che ha iniziato a sgretolarsi con il Trattato di Maastricht (1992). Sul piano della realtà la questione rimane e nelle democrazie i nodi politici li sciolgono le elezioni, a volte male a volte bene.

Ciò che si può rimproverare alle élite euroscettiche italiane, però, è di non aver fatto lo sforzo di capire come il progetto europeo si stesse trasformando. Di non aver fatto poi lo sforzo di elaborare una proposta politica alternativa. Insistere sulla rimozione dei vincoli al disavanzo pubblico come passo decisivo – fattualmente e simbolicamente – per riaffermare la sovranità nazionale o sull’uscita dall’Euro tradisce una visione semplificata del processo di integrazione europea, che non coglie la profondità, l’innovazione e il valore etico del “sogno europeo” (Jeremy Rifkin). Che non coglie il tema di come distribuire la sovranità tra i diversi livelli di governo. Culturalmente subalterni, inutilmente rivendicativi, astrattamente avversi “a Bruxelles” e senza una visione politica gli euroscettici hanno lasciato il campo ai neo-liberisti. Che un progetto per l’Europa lo avevano e lo hanno attuato – un progetto che era politico.