
Un’altra visita dai nomi altisonanti, altre strette di mano, altre immagini girate e mandate in onda con la dichiarazione che la talpa è all’opera, che i lavori proseguono a spron battuto, che il treno ad alta velocità è praticamente già lì che sbuffa e fermare proprio non si può.
“È cosa viva!” Insomma un’altra parata di fasce tricolore che raccontano una realtà separata senza essere Castaneda, che pure non ha mai negato di vedere, grazie al peyote, cose che altri, senza peyote, non han visto mai. Ma in Val di Susa il peyote non cresce, e neanche si entra nel cantiere del Tav senza esser convinti della realtà che andrà poi raccontata, ancorché diversa da quella che occhi umani potrebbero constatare
Quindi son cose che non possiamo raccontare, perché a noi la realtà piace così com’è, altrimenti scriveremmo favole o romanzi e, chissà, diventeremmo persino famosi.
Non possiamo scrivere che stamane la fresa non si muoveva e non si è mossa, e non si muoverà probabilmente prima di un altr’anno perché, operai assonnati, svogliati e appoggiati a qualsiasi cosa fuorché a un badile, dicono che la corrente non c’è. Persino il trenino che dovrebbe portar fuori lo smarino dal tunnel se ne resta fermo e pulito, lindo come in una pubblicità. La reclam di un buco.
Non possiamo descrivere il su e giù degli operatori dell’informazione che impedisce alla fresa di muoversi anche se lo volesse. Certo è che la testa della talpa si è già infilata dentro il buco, ma ancora, di muoversi non ne vuol sapere.
Non possiamo dire che il movimento No Tav e le sue bandiere sventolanti son stati tenuti a debita distanza dalle telecamere che spazzolavano l’amenità di un cantiere pacifico – meglio pacificato.
Non possiamo neanche immaginare come l’odierna kermesse sia servita da passerella a chi, alle passerelle avvezzo, pensa di essere al Festival cinematografico di Roma presentando ai sindaci d’oltr’Alpe il proprio film. Pellicola pronta da godere il 20 novembre, italiani e francesi insieme nella capitale, pronti a firmare un accordo senza opposizioni, perché davanti alla volontà dello Stato non c’è opposizione che tenga. Che sarebbe poi quella tenuta a debita distanza, per poter poi dire che di opposizione neppure l’ombra.
È vero. Tutto ciò non lo possiamo raccontare perché noi non c’eravamo.
Intanto per entrare in cantiere bisogna essere accreditati, ovvero è l’azienda che ha facoltà di scegliere chi accede a un’area in cui vengono spesi i denari dei contribuenti tutti. Diverso è l’essere al seguito di parlamentari che obbligano l’azienda ad aprire loro i cancelli. Non sarebbe la prima volta che la nostra troupe varca infatti i cancelli dell’Ltf. Tuttavia oggi non si può, l’accredito rilasciatoci da una testata nazionale non vale. Singolare che l’accredito sia subordinato a questioni di ordine pubblico, e chi l’ordine pubblico gestisce conosce bene queste cose: il cantiere è di Ltf, è cosa privata, e alla festa ci invita chi vuole.
Insomma, fino in val Clarea si può comunque andare. Al ponte in prossimità del cantiere, sopra il torrente Clarea, un plotone di PS sbarra la strada “secondo l’ordinanza prefettizia [eccetera eccetera] non si può passare”. Chiediamo di poter vedere l’ordinanza, e la routine prende il suo lento corso: trasmissione via radio, e passa del tempo; “fate venire del personale digos”, e passa del tempo; il personale sopraggiunge, e passa del tempo; “si può”, “non si può”, e passa del tempo; saremmo lì per fare informazione, si spiega; mostriamo i tesserini da inviati reporter, e i funzionari finalmente decidono che vale la pena scortarci dal ponte sino all’esterno del cantiere per filmare. Filmare, finalmente filmare, quando non ci sarebbe più niente da filmare.
A volte basta poco, basta far passare del tempo e la realtà diventa un’altra cosa: quella che vuoi che sia raccontata, non quella che gli occhi vedrebbero.
La redazione