
di Redazione.
Sul Debito Pubblico veniamo quasi quotidianamente bombardati da minacce di catastrofi imminenti. Sua sarebbe la causa di tutti i mali, tra cui la mancata possibilità di ripresa del paese. Ma è davvero così? Il racconto del Debito Pubblico come simile a quello delle famiglie è corretto? Sarebbero quindi le generazioni future a pagarne il prezzo? Sono quindi irresponsabili i politici che non si adoperano a sufficienza per la sua estinzione o riduzione progressiva nei termini previsti dai parametri europei?
Per farsi un’idea in proposito riportiamo un articolo di Davide Cassese apparso sul sito di studi economici economiapolitica.it. In esso, confutando una tesi esposta dall’Istituto Bruno Leoni (di area neoliberista), si forniscono interessanti argomentazioni contro i miti che ruotano intorno al Debito Pubblico. Buona Lettura.
E’ stato pubblicato, su Il Foglio, un contributo dell’economista Gianpaolo Galli. L’articolopubblicato è parte di un capitolo, scritto da Galli, di un nuovo libro, edito dall’Istituto Bruno Leoni, dal titolo “Noi e lo stato: siamo ancora sudditi?”.
I punti su cui Galli si concentra sono sostanzialmente tre: la relazione tra debito pubblico e tassazione; l’idea per cui l’emissione di debito pubblico non troverebbe ostacolo, dato che i contribuenti non sono consapevoli che, in periodi futuri, verranno aumentate le tasse; l’onere che il debito rappresenterebbe per le future generazioni. Questo articolo intende controbattere alle tesi esposte da Galli, opponendo ad esso argomentazioni alternative.
1. Se emettere debito pubblico significa tassare
Nella parte iniziale dell’articolo Galli sostiene che poiché, prima o poi, il debito deve essere ripagato un aumento di debito di un certo ammontare oggi corrisponda ad un aumento delle tasse domani. Stando alle parole di Galli il debito sarebbe “tassazione differita”, e su questo Galli sostiene che vi sia “sostanziale consenso tra gli economisti”.
Su questo tema viene fatto un esempio in cui si suppone che lo stato decide di ridurre le tasse di 1.000 euro per ogni cittadino e di finanziare il mancato gettito emettendo un titolo con scadenza annuale e con cedola del 5 per cento. Secondo Galli “lo stato dovrà pagare 1.050 euro a ogni detentore del titolo, il che significa che ogni contribuente ottiene una riduzione di tasse di 1.000 quest’anno e un aumento di 1.050 l’anno prossimo.” Questo dovrebbe far presupporre un peggioramento della condizione della collettività. A parere di chi scrive questa conclusione è erronea per due ordini di ragioni.
Primo: Galli implicitamente sostiene che il debito pubblico debba essere azzerato. A meno che non si tratti di casi molto particolari, che rappresenterebbero un’eccezione e non certo la regola, non sembra esserci evidenza su fenomeni di azzeramento del debito pubblico da parte di un Paese tramite politiche di rientro. Si possono registrare, certo, fenomeni di riduzione del debito in rapporto al PIL ma non si registrano episodi in cui un Paese abbia azzerato il suo debito. Inoltre, dato il ruolo che svolgono i titoli rappresentativi del debito all’interno del mercato finanziario, nella misura in cui contribuiscono a generare elevata liquidità, l’idea di azzerare il debito e di eliminare, dunque, i titoli in circolazione determinerebbe anche il ritiro dal mercato di strumenti importanti per il funzionamento del mercato finanziario medesimo.
La tesi per cui il debito debba essere azzerato è sconfessata persino nelle regole europee in tema di finanza pubblica, per cui – pur non essendoci alcuna scientificità alla base – il debito non deve essere superiore al 60% del PIL.