Dalla ex Ilva a Venezia viaggio nella politica inutile

Dall'acqua alta di Venezia, all'Ilva di Taranto, un percorso dal nord al sud dove la politica mostra le proprie debolezze storiche.

di Davide Amerio per Sovranità Popolare (versione cartacea)

Taranto – Venezia, un percorso ideale che collega il nord con il sud dentro un paese che, da almeno 30 anni, non riesce più ad affrontare i problemi per risolverli.

Come andrà a finire la vicenda dell’ex Ilva? Chi ha ragione e chi torto? Ma, sopratutto, chi continua a rimetterci?

Sul tavolo politico ci sono tre questioni differenti, di identica importanza: Salute e Ambiente, Lavoro, Sistema Industriale. Qual’è la priorità? La domanda è sbagliata. Quella giusta sarebbe un’altra: come mai in Italia i problemi incancreniscono e ci si accorge di essi solamente quando si è con le spalle al muro e, inevitabilmente, è tardi per qualsiasi soluzione ragionevole?

A 20 anni dall’ingresso nel nuovo millennio, ci troviamo ancora a dover scegliere tra Lavoro e Salute, tra salvaguardia dell’Ambiente e produzione industriale, tra sfamare e morire. Sembra di non essere mai usciti dai sistemi di produzione dell’inizio dell’era industriale.

L’era post ideologica del ‘900, dopo la caduta del Muro, ha visto dissolversi quelle immagini politiche portatrici di una visione della società. Giuste o sbagliate che fossero, la politica aveva il pregio di indicare una strada, un progetto, un percorso, verso un modello sociale ed economico.

Dopo il ‘92, con l’avvento di Tangentopoli, è accaduto ancora di peggio. La corruzione endemica che flagellava (e continua ancora oggi) il paese, si è palesata senza veli, e in tutta la sua atroce miseria morale. Ci siamo illusi, sperando in una rigenerazione del sistema politico, di fronte a tale disfatta.

Invece no. La finta “rivoluzione” del sistema ci ha condotto alla desertificazione dell’immaginario politico collettivo, alla trasformazione dei partiti in “comitati d’affari” che gestiscono appalti, prebende, poltrone. La stessa classe politica che ha poi consegnato l’Italia alle burocrazie europeiste, senza immaginare le conseguenze economiche dei vincoli europei, che avrebbero presto incatenato la forza industriale del paese.

Il “post” è diventato assenza di progetti, di visioni, di immaginazione. La maggior parte delle questioni è stata trattata in funzione dei vantaggi (elettorali) di breve periodo. Ogni problema è stato smembrato in singole parti per permettere, ai singoli partiti, di appropriasi di un tema e farne una bandiera su cui vivere di rendita.

Ogni giorno ascoltiamo la litania del “bene degli Italiani”, del “progresso”, e dello “sviluppo”. Alcuni sgomitano per auto celebrarsi protettori del Libero Mercato, altri come indefessi difensori del Lavoro, altri ancora paladini dell’Ambiente.

Allora come mai i problemi sono sempre gli stessi? Perché la storia dell’Italia è costellata di disastri annunciati (dai tempi del Vajont)? Di quanta protezione politica ha beneficiato l’Ilva in questi decenni mentre inquinava e uccideva i Tarantini? Quanta miopia è stata praticata a Venezia distruggendo la laguna e le sue barriere naturali? Perché i costi del MOSE sono raddoppiati e non è ancora in funzione?

Non sono domande senza risposte. Queste si possono facilmente trovare in quei comitati del “NO!”, tanto vituperati e disprezzati, dai politici e dal sistema dell’informazione che li sostiene. Da decenni ci raccontano che chi si oppone con il “NO!” è contro lo sviluppo, il progresso; è malato della sindrome di NIMBY.

La storia dei fatti reali racconta un’altra narrazione. Se apparigliate le motivazioni dei tanti comitati del “NO!” della penisola con le vicende giudiziarie, le tragedie manifeste, i lavori incompiuti, il denaro pubblico sprecato, scoprirete che quasi tutto era già stato scritto o previsto.

Mentre troppi politici amoreggiano con la criminalità organizzata, con imprenditori-predatori di risorse pubbliche, quei “NO!”, così osteggiati e sbeffeggiati, rappresentano la nuova forma di resistenza dei cittadini nei propri territori, che amano e rispettano i luoghi che abitano, e di cui conservano la memoria storica. Difendono se stessi, la propria terra, ma anche il paese intero.

Le trasformazioni richiedono tempo, ma se questo viene sprecato per gestire interessi particolari e non quelli delle comunità, ecco che poi i problemi piovono addosso come macigni.

Il futuro scorre veloce, e pone sfide per il dopodomani. Se vera l’ipotesi secondo la quale lo sviluppo della intelligenza artificiale metterà “a riposo” l’uomo, significa che il mondo del Lavoro vedrà sempre più ridursi i posti nella loro dimensione classica ottocentesca, minando lo stesso concetto di “piena occupazione”.

Lo stravolgimento ambientale è palese; gli squilibri economici rendono sempre più precarie le democrazie, che vengono occupate da forme di populismo utili a pochi demagoghi. Il neoliberismo finanziario preme sulle Costituzioni democratiche per disfarsene, come fossero inutili orpelli.

Non ci rimane molto tempo per iniziare seriamente a pensare la politica in chiave di Etica e Responsabilità, e porre un indirizzo diverso all’agire, per risolvere i problemi che ci affliggono. Necessitiamo di fantasia, di visioni per il futuro, di guardare con curiosità a ciò che è stato implementato negli altri paesi.

Se i vincoli europei costituiscono una zavorra di cui, in un modo o nell’altro, bisogna liberarsi, non di meno la corruzione politica è un cancro che distrugge risorse preziose, e ci impoverisce.

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(D.A. 14.12.19)