Dai 16-enni al voto degli “anziani” banalità della politica

Voto ai 16-enni? Abolizione voto agli anziani? Sagge prospettive o proposte indecenti? Provocazione o nuovi tentativi di manipolazione delle masse? Il modernismo come filosofia.

di Davide Amerio.

Nel giro di poche settimane un argomento “caldo” della politica si è imposto, e promette di tornare al centro del dibattito, nel perdurante stato di campagna elettorale permanente in Italia.

Perché proprio del voto si tratta, seppur in due questioni opposte (apparentemente): dare il voto ai giovani 16-enni, e togliere il voto agli anziani. Patrono di questa idea (sopratutto della seconda), Beppe Grillo; tema da lui trattato già in passato, e oggi oggetto di un post nel quale l’idea viene giustificata da “moderne” teorie politiche dei sostenitori del Reddito Universale, come P. Van Parijs.

La questione merita una certa attenzione. Non ho ancora letto le argomentazioni dell’economista filosofo Van Parijs. Mi riprometto di farlo, ma alcune considerazioni sorgono spontanee, leggendo la sintesi della tesi di Grillo.

Il Suffragio Universale (una testa, un voto) è una conquista piuttosto recente, dal punto di vista storico, conquistata a caro prezzo. Esso è stato ottenuto parecchio tempo dopo la formalizzazione delle idee liberali, repubblicane, e democratiche.

Il voto, a lungo, è stato appannaggio di ristrette cerchie di elettori, selezionati per sesso, censo, cultura, classe sociale, razza. La discriminazione trovava la propria giustificazione morale sia in problemi reali (alto livello di analfabetismo della popolazione), sia in pregiudizi (le donne non erano considerate esseri razionali), sia in interessi di classe (aristocrazia fondiaria, alta nobiltà, borghesia, difendevano interessi diversi contro contadini, artigiani, piccola nobiltà).

Lunghe e dolorose battaglie sono state condotte per giungere alla definizione di repubbliche democratiche liberali, nella quale il diritto di voto fosse esteso a tutti, senza discriminazioni di sorta. Perché il diritto di esprimere un giudizio sulla politica spetta a ciascuno; perché tutti sono coinvolti dalle scelte politiche assunte dai Governi e dai Parlamenti.

L’unico vincolo rimasto è quello dell’età. Posso votare i maggiorenni, laddove si ritengono tali le persone che hanno raggiunto una capacità razionale, e intellettuale, idonea ad esprimere una scelta cosciente e consapevole.  

Qui siamo di fronte alla prima questione: concedere il voto ai 16-enni. Quale ratio c’è dietro questa ipotesi? Davvero il panorama della gioventù mostra segni inequivocabili di maturità tale per poter esprimere un voto?

Oppure siamo di fronte al tentativo di allargare la base elettorale per avere nuovi soggetti da manipolare più facilmente abusando della giovane ingenuità cui siamo tutti umanamente, e biologicamente, soggetti?

Intendiamoci. Ai giovani occorre sempre dare spazio, e incentivi; affinché essi possano superare i limiti delle generazioni precedenti. Ma non è uno smartphone a renderti, di fatto, più intelligente; non lo è nemmeno un computer, o la rete. Semmai ne è l’utilizzo che ne fai. 

Questa voglia di giovanilismo quanto risponde al reale desiderio di potenziare la voce dei giovani, e quanto a quello di incanalarli precocemente, e meglio, dentro le anguste mura di qualche ideologia (magari green), per farli diventare “another brick in the wall” ?

Il giovanilismo contrapposto alla vecchiezza, suona stonato come il paternalismo utilizzato per giustificare secoli di colonialismo. La sopraffazione, le ingiustizie, le violenze, gli stermini di massa, erano “mali necessari” verso popolazioni considerate inferiori per definizione. Di esse venivano negate storia, cultura, abitudini. Sempre in nome di una benevola occasione di progresso, per elevarsi dal loro stato “barbarico” verso la civiltà (occidentale).

L’esautorazione degli “anziani” segue lo stesso percorso intellettuale: sono inutili, contrari al “progresso”, restii ai mutamenti. Un pensiero profondamente razzista, discriminatorio, che nega l’essenza stessa dell’umanità: quel percorso che fa degli individui delle persone reali, con la loro storia, esperienza, virtù, ed errori.

La modernità, a qualunque costo, contro la stessa natura delle cose. La negazione dell’opportunità di comprendere il valore della cautela (che matura con l’età), e l’esaltazione di una modernità travolgente, assunta come idolo sacro, cui tutto deve essere sacrificato.

Questa idea fissa nel tempo l’assolutismo di una vecchiaia sempre uguale a se stessa, immutabile. Come non fosse vero che l’anziano di oggi è diverso da quello di 40 anni fa, oppure negare quanto potrà essere diverso quello che sarà tra 30 anni.

Il passo successivo potrà essere l’eutanasia dei nonni per Legge: nel contesto di siffatta modernità, non c’è spazio per ciò che è improduttivo, o si oppone ai cambiamenti voluti dalla maggioranza (giovane). 

Se davvero si volessero più elettori consapevoli, ci sono ben altri problemi da affrontare. Per esempio la manipolazione delle masse attraverso i media e l’informazione. A partire da quel Gustav Le Bon, per proseguire con Edward Bernasy, che con i loro libri sulla “Psicologia delle folle”, hanno influito sul modo in cui la “Politica” ha manipolato il consenso da fine ottocento a tutt’oggi.

Non è un caso che il testo di Le Bon fosse apprezzato, e studiato, da personaggi come Hitler, F.D. Roosevelt, Lenin, Mussolini. 

Le democrazie, e la società, non perdono terreno perché ci sono i “vecchi” e/o non ci sono abbastanza giovani. Si indeboliscono piuttosto a seguito della rinuncia, da parte della Politica, di fare degli individui degli esseri coscienti e consapevoli, e tendenzialmente felici.

L’attuale prospettiva della modernità contemporanea predilige la manipolazione, piuttosto che l’istruzione. La fede, piuttosto che la capacità critica. In nome del consumismo, del neoliberalismo finanziario, dobbiamo essere tutti manipolabili, acritici, infelici, e stressati: bulimici dell’inutile, refrattari alla solidarietà, antagonisti di “nemici” costruiti in laboratorio.

Questo è ciò che sta distruggendo il nostro tessuto sociale, conducendo sempre più persone a chiudersi nel proprio particulare, a disinteressarsi della politica. E le responsabilità sono ben distribuite. Sopratutto manca la visione progettuale del futuro, laddove i politici prediligono l’oggi: il tutto e subito delle loro comode, e ricche, poltrone. 

Dov’è finita quella “rivoluzione culturale del popolo”, quel desiderio di una cittadinanza attiva, consapevole, cosciente, che era uno dei pensieri fondanti del fu M5S? E come si concilia la discriminazione degli anziani con “l’uno vale uno”? Quante cose si perdono nei meandri della Realpolitick del partito Dimaioleggio.

(D.A. 21.10.19)