Con #Greta siamo un po’ tutti “gretini”

#Greta e #Fridayforfuture sono la manifestazione di un cambiamento, oppure nascondono pericolose insidie gattopardesche? Quanta ipocrisia dei media e di certi politici sulla questione ambientale.

di Davide Amerio

#Greta e #FridayforFuture, portano con sé una buona notizia: molti giovani sono scesi in piazza per parlare di ambiente e di futuro (che li riguarda), e ciò non può che essere accolto con favore.

L’appunto che si può fare è nella scelta del giorno: perché “scioperare” per l’ambiente? (sopratutto da parte di studenti). Si offre facilmente il fianco all’impressione di aver colto l’occasione per marinare la scuola per un giorno (un po’ come gli scioperi sindacali del venerdì e del lunedì).

Sarebbe stato meglio prendere esempio dai Francesi, e dai loro Gilet Gialli: da mesi sacrificano il sabato per scendere in piazza a manifestare le loro ragioni, dedicando un po’ del loro tempo più alla politica, anziché ai centri commerciali.

Ma la cattiva notizia sono le compagnie, politiche e mediatiche, che hanno accompagnato questo festoso giubileo, infettandolo con le loro ipocrisie. Certi riti accompagnano da alcuni anni celebrazioni ricorrenti (e relative manifestazioni), rendendole oggetti (e soggetti) di consumo. Siano esse giornate della memoria, della donna, contro la droga, contro la violenza, il razzismo, in favore delle coppie e dell’amore Lgbt, o per gli immigrati.

Così capita di assistere al tripudio in favore dell’ambiente da parte di politici che fino a ieri difendevano a spada tratta la cementificazione del territorio, l’elogio sperticato delle grandi opere inutili e costose, le trivelle nei nostri mari, la privatizzazione dell’acqua, etc etc. 

I media (Tv e giornali) che fino a ieri ci decantavano l’elogio della crescita, dello sviluppo, e del progresso, per dare lavoro e benessere (a tutti?), con vivace disonestà intellettuale (e ignoranza) sulle differenze che intercorrono tra questi termini, oggi esaltano questi giovani che richiedono (giustamente) attenzione per il pianeta.

Dietro quei microfoni posti davanti alle bocche di bambine/i inconsapevoli, per dar voce alla loro protesta, si cela la strategia del contenimento del dissenso (Fusaro docet!), per offrire l’impressione che qualcosa stia cambiando, mentre l’obiettivo è non mutare nulla. 

Ciascun argomento (di quelli sopra menzionati), porta con sé il bagaglio pesante di questioni ora sociali e culturali (immigrazione, Lgbt, razzismo, violenza sulle donne), ora economiche, giuridiche, e di relazioni internazionali (ambiente, grandi opere). Per ciascuna di esse, da decenni, studiosi, ricercatori e scienziati, economisti e filosofi, pur con punti di vista differenti, studiano e affrontano questi problemi, suggerendo soluzioni, e sollecitando interventi. Il più delle volte inascoltati.

Ma, all’interno della logica neoliberista, l’obiettivo non è la soluzione dei problemi; è la massimizzazione dei profitti (per pochi) quella che conta veramente. In questa dimensione vengono gestiti due spazi sociali, utili al contenimento del dissenso: il primo quello della celebrazione del problema (la giornata del…), il secondo quello di creare contrapposizione tra opinioni differenti (alimentando il contrasto). In questo modo, come spiega Fusaro, il dibattito rimane a livello orizzontale, dando vita a posizioni partigiane (anziché un serio confronto), senza influire sul livello verticale, che metterebbe in discussione l’attuale sistema economico, e chi lo gestisce.

La libertà si manifesta forse sopratutto nella operazione del ‘capire’, e tale operazione non ha limiti 

Così scriveva P.P. Pasolini, molti anni or sono. Per ‘capire’, e quindi diventare soggetti liberi, occorre diventare consapevoli dell’importanza della cultura e della conoscenza. Ci vuole studio, oltreché passione politica. Ci vogliono letture di libri, anziché bighellonate nei centri commerciali. Bisogna alimentare i dubbi, anziché rivelare certezze.

Se i giovani, e i giovanissimi, sapranno cogliere queste differenze ( e noi ‘diversamente giovani’, ci prodigheremo nell’illustrarle), allora potranno essere davvero gli artefici del cambiamento. Diversamente essi saranno comparse, anziché protagonisti, in uno scacchiere dove altri manovrano le pedine, per proprio uso e consumo.

Manteniamo viva questa speranza.

(D.A. 13.03.19)