
di Simonetta Mitola.
Il pianeta è malato. Un film ambientato in Colombia racconta la falsa illusione del progresso tecnologico.
Diciamocelo, il mondo è profondamente ingiusto. Ci sono i ricchi ricchi, i poveri poveri, i belli belli, i brutti brutti. Se ti va bene, nasci nella parte di pianeta più fortunata e ti lamenti perché fa troppo caldo o troppo freddo. Se non ti va bene, vivi immerso in una piantagione di canna da zucchero e muori per la pioggia di ceneri.
Un mondo fragile (La tierra y la sombra il titolo originale) è l’opera prima di César Augusto Acevedo, colombiano premiato al Festival di Cannes con la Caméra d’Or per il miglior esordio. Il regista ha voluto fare ritorno nella Valle del Cauca, sua terra d’origine, per esplorare gli effetti della monocoltura intensiva di canna da zucchero e rappresentare la fatica quotidiana dei corteros colombiani.
Il film racconta la storia di una famiglia sudamericana che vive all’ombra delle piantagioni. Ritmi lenti, strade polverose, visi incisi. Un’esistenza segnata dal lavoro, dalla sofferenza, dall’attaccamento alle origini che porta alla morte. La nonna (Hilda Ruiz), occhi strabici e rughe profonde, è attaccata alla sua terra come solo le radici degli alberi secolari possono essere. Anche se la sua terra non è più la stessa. Tutto ha lasciato posto alla canna da zucchero che garantisce maggiori profitti agli speculatori.
Ed è proprio lei, insieme alla nuora (Marleyda Soto), a lavorare duramente nelle piantagioni. Il figlio Gerardo (Edison Raigosa) non riesce più, immobilizzato a letto da una malattia ai polmoni causata dalle ceneri degli incendi. Ogni mattina all’alba, un pullman raccoglie dal ciglio delle strade il materiale umano che, per l’intera giornata, taglia le canne, elimina le erbacce. Ogni sera le due donne tornano a casa coperte da polvere, cenere, terra, sfinite da un duro lavoro che non viene nemmeno retribuito. O almeno non sempre.
Gli altri due protagonisti sono il nonno e il nipotino. Alfonso il nonno (Haimer Leal) è un vecchio contadino che diciassette anni prima aveva abbandonato la famiglia. Tornato a causa della malattia del figlio, si occupa della casa e del nipote (Felipe Cárdenas). Gli costruisce una casetta per gli uccelli, gli insegna a riprodurne il verso, gli regala un aquilone colorato per il compleanno. Un dipinto delicato ma forte di esistenze ai margini, di vite silenziose di individui che non sono nessuno ma sono tutto.
“Volevo occuparmi del conflitto familiare e della questione sociale – sottolinea il regista César Augusto Acevedo intervistato da Panorama Tv – un tema poco trattato fino ad ora, a cui abbiamo dato finalmente voce e visibilità. Esplorare l’universo dei lavoratori della canna da zucchero, i loro strumenti, tutto quello che implica questo lavoro, cercando di essere il più possibile fedele al loro universo. Ogni volta che sviluppavo un’idea, era come recuperare un passato dai suoni”.
“Molte cose a causa di questa piantagione non sono più le stesse – riferisce il direttore del suono Felipo Rayo intervistato da Panorama Tv – “Era importante che la situazione di morte che si respira qui, di cose che non esistono più avessero un peso, così come è molto importante l’orizzonte quando è così aperto da non vedere il limite, così come pesa tanto l’oscurità quando siamo in una stanza. Così anche questi silenzi devono avere un peso. Il nostro lavoro avrà anche un valore molto forte perché parla di tutto quello che succede qui, della tecnologia, della minaccia rappresentata dalla modernità e dall’acceleramento della distruzione”.
Un mondo fragile
Regia: César Augusto Acevedo; Interpreti: Haimer Leal, Hilda Ruiz, Merleyda Soto; Sceneggiatura: César Augusto Acevedo; Fotografia: Mateo Guzman; Montaggio: Miguel Schverdfinger; Scenografia: Marcela Gòmez Montoya; Distribuzione: Satine Film. Colombia, 2015, 94’.
(S.M. 29.09.15)